"Sì, papà. Poi alle elementari devo anche parlare!"
"Sarebbe meglio. Così puoi ripetere alla maestra quello che hai imparato."
Questa conversazione è avvenuta in bagno qualche giorno fa. Me la riferisce il mio compagno.
Allora - mi dico - ne ha consapevolezza! Lo sa, se ne accorge, lo avverte, che nel contesto scolastico - così come anche in altre situazioni sociali - non riesce a parlare. Che vorrebbe, ma si blocca. E che gli altri lo sanno, se ne accorgono, vorrebbero che parlasse, la stimolano. Ma così facendo, la sua paura - la sua ansia - sale e sale e glielo impedisce ancora di più.
Sto leggendo i materiali che mi ha gentilmente inviato la Presidente dell'Associazione A.I.MU.SE.. Articoli scientifici, testimonianze di casi trattati, estratti di testi accademici, manuali didattici, decaloghi strategici. Alcuni più tecnici, altri molto efficaci e scritti bene.
Da un lato, più leggo più mi sento preoccupata. Vuoi per il senso di colpa - sono stata io, ho fatto qualcosa che non dovevo fare e che le ha procurato questo disagio. Vuoi per la frustrazione di non sapere come aiutarla al meglio - il discorso con la neuropsichiatra che ha iniziato a seguirla, mi sembra un vicolo cieco, che alla fine ci lascia a noi stessi, al nostro buon senso, alla nostra volontà di seguire i semplici suggerimenti dati: evitate di forzarla, favorite le attività ricreative in piccoli gruppi, aspettate che si risolva da solo.
Dall'altro, sento che devo fare qualcosa, devo aiutarla di più. Manca soltanto un anno all'inizio delle elementari, e la sua serenità da questo punto di vista è la cosa che più di ogni altra mi sta a cuore.
Ho preparato una piccola dispensa per le maestre di mia figlia. Una di loro la conosciamo già dall'inizio del percorso della materna, e l'altra la conosceremo per la prima volta. L'ennesima insegnante di un ricambio perpetuo, a cui temo di dovermi - e doverci - abituare. Pochi fogli, ricavati dai materiali dell'Associazione, per dar loro uno strumento in più nel cercare di affrontare al meglio la difficoltà di Matilde. Spero che li leggeranno e che terranno conto di quei pochi ma fondamentali suggerimenti e indicazioni sul modo di approcciarsi in maniera positiva per lei.
So che non devo temere, perché Matilde è amata dalle maestre e cercata dai compagni, non si isola dal gruppo né viene isolata, ma quello che mi spaventa di più è una possibile esclusione. E una probabile auto-esclusione. E' una paura futura, che riguarda il passaggio al nuovo, alla scuola primaria. Che insegnante troverà - e troverò? Sarà disponibile a cercare strategie e accorgimenti efficaci e inclusivi, per coinvolgerla senza farla sentire diversa dal resto della classe? E i compagni? La eviteranno, per il fatto che non parla? La prenderanno di mira, verrà umiliata? E lei, come si sentirà? Diversa, inferiore, frustrata?
Ci penso sempre più spesso.
E questo pensiero mi fa star male.
L'incertezza di non sapere come evolverà.
Ma so che devo essere fiduciosa. E' questo che devo trasmetterle.
E' che vorrei una didattica inclusiva. Vorrei che tutti gli insegnanti del mondo ne capissero davvero l'importanza e fossero in grado di metterla costantemente in atto.
Ad esempio, nel momento dell'appello, l'insegnante piuttosto che dire "Quando chiamo il vostro nome, dite: presente. Tu, invece, che non lo dici, puoi alzare la mano" potrebbe usare una frase più neutra e inclusiva, del tipo "Adesso facciamo l'appello: chi vuole può dire presente, oppure alzare la mano". Oppure, quando si tratta di fare le verifiche, anziché farle oralmente per tutti tranne che per il bambino con difficoltà, riservando solo a lui la prova scritta, si potrebbe programmare per una metà della classe la prova orale e per l'altra metà - in cui verrebbe compreso il bambino in questione - quella in forma scritta. E poi, alla successiva verifica, invertire i due gruppi, sempre facendo in modo che per lui sia nuovamente assicurato lo scritto.
In modo da non farlo sentire isolato, diverso, addirittura privilegiato rispetto agli altri. Perché le misure didattiche messe in atto nei confronti di un bambino selettivamente muto sono compensative, non dispensative. Servono a compensare una sua difficoltà, non a dispensarlo dall'impegno richiesto [*].
E così continua l'avventura.
E ne comincerà una nuova, e io mi sentirò più forte nell'affrontarla insieme a mia figlia.
Una frase attribuita al Dalai Lama dice: "Nulla se ne va, prima che ti abbia insegnato ciò che devi imparare".
Ecco, forse in questa avventura c'è un insegnamento anche per me.
[*] Si precisa che nei casi di DSA, Disturbi Specifici di Apprendimento, è necessario invece prevedere sia strumenti compensativi che misure dispensative.
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