lunedì 7 maggio 2018

In bilico

Scriverò un po' di come mi sento.
Forse ne ho bisogno, in questo periodo.
E' una fase, questa, in cui tutto sta filando via liscio. Dopo le incertezze dei primi tempi, delle prime settimane di scuola, Matilde ha consolidato le sue relazioni e le sue modalità. Parla nell'orecchio di Giulia, la nuova compagna di classe con cui ha legato molto. Fa volentieri le videoregistrazioni dei compiti di lettura, da spedire via telefono all'insegnante di italiano. 
Ha continuato ad andare a danza, alle feste di compleanno, a casa di amiche, che abbiamo invitato a nostra volta da noi. 
Negli ultimi mesi tutto è andato bene, senza inciampi né slanci. 
Tutto è tranquillo. Troppo tranquillo.

In questa fase, mi sento sempre più in bilico tra due sensazioni: da una parte, l'aspettare senza forzare, nel rispetto dei suoi tempi, e dall'altra invece la spinta ad accelerare, per trovare uno stimolo alla parola.
Le insegnanti durante il colloquio mi chiedono cosa possono fare. Io mi trovo impegnata a organizzare un incontro A.I.Mu.Se. proprio a Castelfranco, al quale parteciperanno loro, le tre maestre. Può sembrare strano: parlo di mutismo selettivo come referente regionale, però poi ho difficoltà a parlare del mutismo selettivo di mia figlia. Sento ancora, io, un certo disagio nel fare i conti con questo problema, una certa fatica che continua a presentarsi, e me ne sono accorta in un preciso momento, durante un episodio successo qualche giorno prima. 
Stavo accompagnando Matilde a scuola in orario posticipato, quando mi si avvicina una bidella, che approfitta per dirmi qualcosa su Matilde, in sua assenza.
"E' bellissima, complimenti, ma è molto chiusa... Un giorno le ho detto sei bellissima come ti chiami, e lei non ha risposto. Anche le maestre mi hanno detto che non parla, parla solo coi genitori".
Io, prima di quel momento, non avevo mai avuto occasione di scambio con le bidelle, in generale. Sinceramente avrei voluto sorvolare sull'argomento, proprio perché provo disagio nel doverne parlare a persone - diciamo così - esterne, che non siano direttamente a contatto con Matilde, come invece lo sono insegnanti o parenti. Forse sbaglio io a partire diffidente: non so fino a che punto queste persone possano capire le mie spiegazioni, e soprattutto non so mai bene come porre la questione, quali parole usare. Parole, appunto.

Ad ogni modo, alla bidella ho accennato molto brevemente al mutismo selettivo, dicendo che è un blocco dovuto all'ansia, soprattutto quando la bambina si sente chiamata in causa, e che ha bisogno dei suoi tempi. Avrei dovuto aggiungere che non bisogna forzarla, ma lì per lì non mi è venuto. Mi ha detto che anche un'altra bambina della scuola era così timida, ma adesso questa bambina parla anche coi muri. Ho precisato che Matilde invece non è timida, perché dimostra di voler stare in gruppo e divertirsi, alle recite, alle feste, al corso di danza, agli spettacoli. Ho aggiunto che anche alla materna non parlava con le maestre ma con una o due amichette sì, nell'orecchio. E adesso alle elementari ha una compagna di classe con cui ha legato molto, e alla quale parla all'orecchio. La bidella mi dice che lo sa, tramite le insegnanti.
E a questo punto nasce spontanea in me una domanda: perché questa persona me lo sta chiedendo? Era già informata: voleva dunque un confronto diretto con me? Me lo ha detto perché pensava non sapessi della difficoltà di mia figlia a scuola? O perché stava cercando di sapere come fare e come comportarsi con lei?
Ne ho parlato al telefono con la nostra psicologa, e mi confronterò separatamente con lei, per cercare di capire cosa mi faccia sentire a disagio, cosa e quanto c'è di me nelle risposte che do su Matilde, cosa mi spinga a voler sempre giustificare mia figlia rispetto al disturbo che ha.

Avevo consegnato in settembre alle insegnanti il Kit ècole, la guida che a quei tempi l'Associazione A.I.Mu.Se. era autorizzata a mettere a disposizione, con diversi consigli pratici, anche se strutturati più per la fase della prima infanzia. 
Al colloquio provo a dare loro un paio di suggerimenti, che avevo discusso insieme alla psicologa. Il primo ha l'obiettivo di creare un ambiente protetto e una relazione "a tu per tu" per favorire la parola e la voce. Per far sì che non sembri un tentativo fatto appositamente nei confronti di Matilde, si tratterebbe di far uscire dall'aula un alunno alla volta, in un momento di compresenza delle insegnanti, con la scusa di far fare la lettura di un brano in un'aula separata, magari motivando con la necessità delle insegnanti di verificare il livello raggiunto. Limitandosi poi alla semplice lettura di un testo, la richiesta nei confronti del bambino è meno impegnativa e la sua produzione verbale può così risultare più facilitata, senza che debba lui rispondere a domande o fare un discorso. Sottopongo fiduciosamente alle insegnanti questo consiglio, anche se poi riferisco loro che il mio tentativo di sondare il terreno con Matilde, provando a proporle l'idea di un esperimento del genere, ha avuto esito negativo: lei dice che non se la sente ancora. E torna allora il dubbio rispetto ai tempi da rispettare: attendere o forzare?
Anche il secondo suggerimento non è detto che funzioni, sebbene dal racconto che mi è stato riferito si deduca che grazie ad esso si sia sbloccata una bambina mutoselettiva. L'ambiente stavolta è la palestra di scuola: durante l'ora di ginnastica, dopo aver fatto correre a più non posso i bambini - lo sfogo fisico serve a rilassarsi e liberare la mente - l'insegnante li fa sedere in cerchio a terra, e dà il segnale di gridare una vocale con maggiore intensità quanto più la docente stessa alza il suo braccio, come fosse un misuratore di suono, un termometro della voce
I piccoli passi non iniziano da un parola. Iniziano da un suono, da un soffio, da un sssssssssss... che più avanti potrà diventare un SI'...