lunedì 19 febbraio 2018

La nonna e il gioco delle parole

Circa un anno fa Matilde smise di parlare coi nonni paterni.
All'improvviso, da un giorno all'altro.
Non sappiamo perché.
Abbiamo accettato la cosa, facendo finta di nulla, senza forzare, per paura di fare qualcosa di sbagliato che potesse peggiorare la situazione.
Ma quel perché era diventato un mistero assillante, non riuscivamo davvero a capire.
Poi, in settembre, arrivò la perdita del nonno, in modo altrettanto inaspettato e improvviso.
E' rimasta la nonna, e anche il silenzio di Matilde nei suoi confronti.
Chiedemmo allora alla nostra psicologa cosa poter fare per recuperare la comunicazione verbale tra nonna e nipotina, e lei ci consigliò un paio di strategie.

Innanzitutto, e come sempre, fare passaggi per gradi
Primo step: Matilde parla con noi genitori nella stanza accanto a quella dove sta la nonna. 
Secondo step: Matilde parla con noi genitori in presenza della nonna nella stessa stanza. 
Terzo step: Matilde parla alla nonna.
E questo, gradualmente, si è verificato. Inizialmente Matilde rispondeva alle nostre domande soltanto quando ci appartavamo nell'altra stanza. 
Poi, il passo successivo è avvenuto in una sera particolarmente allegra. Eravamo invitati a cena dalla nonna e i momenti più salienti sono riassumibili in due fasi cruciali. 
Nella prima, ci sono io sul divano della sala, seduta in mezzo a Matilde e a sua sorella, mentre guardiamo sul tablet della nonna alcuni video didattici per imparare i colori. La nonna intanto sta ai fornelli a preparare la cena, a pochi metri da noi, nella stessa stanza. Per coinvolgere le bimbe, e soprattutto stimolare la risposta vocale di Matilde, comincio a chiedere all'una e all'altra, a turno, i colori che man mano compaiono nel video. Cerco insomma di fare semplici domande su quello che stiamo vedendo e facendo. "Vediamo adesso se Michela indovina il colore che arriva!" "Giallo!" risponde lei. "Brava! E ora tocca a Matilde: che colore ci sarà? Vediamo se indovini!" Lei fa per avvicinarsi, ma non chiude stavolta le sue manine attorno al mio orecchio, per darmi la risposta. Arriva a venti centimetri dalla mia guancia, e dice piano, ma a voce udibile: "Verde!". "Ottimo!" le rispondo. Non faccio altri commenti, né io, né il papà, né la nonna. Andiamo avanti così per un po'.
Ma nel dopo cena c'è un'altra sorpresa. E il bello è che è tutto successo in modo naturale e spontaneo, come dev'essere. Siamo di nuovo tutti sul divano, stavolta la nonna è lì con noi. Tutti chini sullo schermo del tablet, a giocare al gioco preferito dalla nonna: gli indovinelli di parole. Una specie di Scarabeo in cui, a partire da un determinato set di lettere, bisogna trovare diverse combinazioni per formare il maggior numero di parole.
Il gioco è avvincente, e tutti quanti tentiamo di dare la nostra soluzione. Siamo tutti talmente divertiti e coinvolti, che a un certo punto anche Matilde si mette a suggerire le possibili parole. "Papà, metti APE!". Il volume della sua voce è quello normale, di sempre. Anzi, di come lo conosciamo noi. Ne dice un altro paio e poi, quando lentamente l'interesse generale va a scemare, si cambia gioco e Matilde torna nel suo silenzio. O meglio, nelle sue risate sguaiate con la sorella, ma senza parole. 
La nonna ha diligentemente evitato ogni forma di commento o manifestazione di sorpresa nel sentirla - o meglio risentirla - parlare, e in questo è stata bravissima. 
E il terzo step? Sì, pochi giorni dopo è capitato, non so bene se per sbaglio o con intenzione. Una sera suona il telefono: "Dai, Mati, rispondi tu, saranno i nonni!" Lei schiaccia il verde sul telefono mobile, e dice Pronto. "Ciao!" si sente dalla cornetta. Ciao, risponde Mati. "Chi è? Matilde sei tu?" Al telefono c'è la nonna paterna. "Sì". "E dov'è la tua sorellina?". "E' qui!". Il breve scambio finisce così, e forse se n'è resa conto troppo tardi che aveva parlato con la nonna al telefono, o forse no. Ad ogni modo l'ha fatto. 

L'altro suggerimento della nostra psicologa è rivolto all'aspetto più introspettivo della situazione, alla consapevolezza di Matilde rispetto alla sua difficoltà, e non solo.
Spesso, nel nostro ruolo di genitori, siamo abituati a parlare per loro, a fornire già le nostre soluzioni e le nostre risposte, senza lasciare spazio a quello che viene direttamente dai nostri figli, dalla loro interiorità. Spesso confondiamo educare con imporre - o impostare - il nostro modo di vedere le cose, la nostra visione.
Invece, dialogare realmente coi nostri figli significa interloquire sotto forma di domande aperte, per stimolare la loro personale riflessione, e permettergli di trovare le proprie risorse, le proprie risposte.
E così, anziché dire a Matilde "Dovresti fare X per riuscire a fare Y", chiederle invece "Pensi che se facessi X riusciresti a fare Y?", lasciando a lei le riflessioni e le conclusioni.
Ad esempio, come le avevo domandato qualche tempo fa, cogliendo il consiglio: "Pensi che parlando con la nonna, potresti aiutarla a imparare a giocare?", spiegandole come premessa che la nonna, avendo avuto due bambini - che sono il papà e lo zio - tanti anni fa, adesso non è più abituata a giocare coi piccoli e non si ricorda più come si fa. Oltretutto è un modo, questo, per far capire a Matilde che anche gli altri potrebbero essere in una situazione di bisogno, e lei potrebbe essere in grado di aiutarli.

Comunque, anche se il sentimento di fiducia è quello che prevale, ci sono momenti in cui il mio desiderio di vederla improvvisamente sbloccarsi, ingigantisce la dimensione del problema. 
E' difficile aspettare.
E' difficile dirsi, ogni volta che sento ancora il suo silenzio, "fa niente, sarà per la prossima volta".
Sembrano tante occasioni perse.
Occasioni perdute per sempre, che non potranno tornare indietro.
Ma occorre rispettare i suoi tempi.
Occorre aspettare.
Perché ci arriva lei.
Ci arriva, anche lei.