giovedì 8 settembre 2016

Conosci te stesso

Faccio qualche considerazione che esula un po' dal tema del blog. Ma forse neanche troppo.
Ho sempre scritto, a partire dall'adolescenza. Scrivo per me stessa, uso la scrittura come sfogo. E' proprio un bisogno, che sento. Far uscire i pensieri dalla testa, ché altrimenti mi si aggrovigliano dentro. Sono piena di fogli, cartacei ed elettronici, riempiti di pensieri sparsi. Una specie di auto-analisi. Che credo mi abbia salvato dai veri analisti.
Tutto ha avuto inizio, ora ne sono certa, con lo studio della filosofia. Nel triennio finale del liceo scientifico, il mio rapporto con questa materia è passato dall'essere inizialmente pessimo, ai nove in pagella degli ultimi quadrimestri. Merito gran parte dell'insegnante che subentrò alla prima professoressa, che pretendeva di farci "filosofeggiare". Ragazzi di sedici anni, nel pieno del loro sbandamento adolescenziale, che provano a disquisire sui problemi della conoscenza, su questioni esistenziali e ontologiche. Non ci riuscivo. Ero in profondo disagio. Rileggevo gli appunti, cercavo appigli sul testo. Niente, non trovavo connessioni, non inquadravo il discorso. La professoressa - seria, algida, severa - cominciò a incutermi paura, mi metteva in soggezione. Le ore di filosofia erano per me un vero incubo. 
Poi, arrivò raggiante un nuovo professore, un Kevin Kline occhialuto e divertente. Lui aveva impostato un approccio alla materia completamente diverso. Ci insegnava in maniera semplice, né più né meno, il pensiero dei filosofi. La storia del pensiero filosofico. Lineare, approfondito ma testuale. Mi ricordo ancora il professor Rinaldi che mette in scena la sua buffa spiegazione dei concetti di "fenomeno" e "noumeno" in Kant. Per rappresentare il primo, si era messo a mimare un'espressione da "macho" con lo sguardo duro e intenso dell'uomo-che-non-deve-chiedere-mai. Mentre per indicarci il secondo, si atteggiava con un sorrisetto ammiccante e un fare effeminato, che suscitava risatine in tutta la classe. Seguivo le sue lezioni con reale interesse, e a tratti davvero divertita. Sapeva catturare la nostra attenzione, parlandoci nel modo più diretto e coinvolgente che avessi finora incontrato. 
Iniziò a incuriosirmi la filosofia, e l'interesse era incoraggiato dai buoni risultati raggiunti. Allora non è vero che non ci capivo niente! - mi dicevo. La fortuna di trovare gli insegnanti giusti può fare davvero la differenza. E così questa esperienza lasciò una traccia, in me. Un desiderio di conoscere più a fondo i pensieri, di andare alla radice delle cose, di porsi domande e interrogarsi sull'universo, sulle nostre esperienze, sull'esistenza, sulla natura e la cultura, sul nostro mondo interiore, sulle cose umane e divine. 
Conoscere sé stessi. 
E questo principio socratico del "Gnōthi seautón" - conosci te stesso - ha continuato a perseguitarmi, in senso buono, da allora fino ad oggi. Scopri quello che hai dentro, scopri il tuo "demone", il fuoco che arde in te, e inseguilo. Si chiama passione, si chiama talento, si chiama ciò che ti fa sentire vivo. La felicità sta lì. Se vuoi vivere intensamente la tua vita, la tua unica vita, guàrdati dentro
Ma quant'è difficile farlo sino in fondo. Quant'è difficile essere completamente onesti con sé stessi. Eppure è tutto lì, non c'è nient'altro che possa realizzare il senso della tua esistenza quanto questo semplice e assoluto imperativo. E allora voglio lasciare alle mie figlie un messaggio che ritengo estremamente importante per loro, come per ciascuno. Ascolta cosa hanno da insegnarti i filosofi, perché il segreto della vita sta nella domanda, nell'interrogarsi, nella curiosità verso il sapere, verso la conoscenza. E la cosa più preziosa da conoscere, sei tu. 
Io sono finita a trascorrere interi anni a tormentarmi interiormente. Ecco, forse ho esagerato nelle analisi smisuratamente autolesioniste - altrimenti dette "seghe mentali". E a causa di ciò, mi sono ritrovata ancora di più chiusa in me stessa. Posso dire, in un certo senso, di aver avuto anche io un periodo di mutismo selettivo. Anche se, beninteso, il mio non aveva nulla a che fare col blocco involontario causato dalla paura di parlare. Uscivo in compagnia, ma non partecipavo, se non con sorrisi a comando e risposte accennate. Ero "altrove". A volte penso di aver sprecato così un po' degli anni migliori della mia giovinezza. Altre volte, invece, penso che no, non li ho buttati, mi sono serviti. Ad essere quella che sono oggi, con la modesta presunzione di essere una persona migliore di quella che ero ieri. 
Quindi sono fermamente decisa ad impegnarmi nei confronti delle mie amate bambine, affinché possano avvicinarsi alla conoscenza di loro stesse, e aprire la mente. Con tutti gli strumenti che possono servire. La lettura, la scrittura, il dialogo, la condivisione. 
E spero studino la filosofia. 
Potremmo intanto iniziare da un bel festival.



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