martedì 20 novembre 2018

Perle

Lascerò spazio qui ad alcune pillole, alcuni spunti e parole, che possono essere utili per un'ulteriore occasione di riflessione. 

Il primo è un video molto bello, profondo, delicato. Si tratta di una produzione francese, che può essere vista coi sottotitoli in italiano, e si chiama: Il pentolino di Antonino (Le petite casserole d'Anatole).
Racconta, attraverso la storia del bambino protagonista, di come il proprio problema, la propria difficoltà, possa sembrare un peso fastidioso, un ostacolo insormontabile, un fardello troppo grande, che col tempo diventa gigantesco, e in cui ci si finisce per rinchiudere. Ma alla fine, chi riesce a vedere oltre, chi ti vede per quello che sei, può aiutarti veramente a gestire la difficoltà, e farti uscire dal buio. Perché, anche se da quella cosa non riuscirai mai a liberarti, puoi imparare ad accoglierla, a metterla nel tuo bagaglio di vita, senza che ingombri o pesi troppo. 

Il secondo, o meglio, i secondi, sono articoli ben fatti, che fanno comprendere più a fondo cosa significhi da un lato vivere il "momentaneo silenzio" che blocca le parole in gola, e dall'altro trovare modi giusti per interagire e provare a disinnescare quel meccanismo automatico di difesa. Uno parla del mutismo selettivo attraverso un'intervista alla Dr.ssa Emanuela Iacchia, l'altro invece riguarda la nuovissima Guida di A.I.Mu.Se. Associazione Italiana Mutismo Selettivo, pubblicata recentemente dalla Franco Angeli.

Terzo: la riflessione di uno psicologo, che collabora attivamente con l'Associazione nel progetto delle "vacanzine" terapeutiche, sul disturbo rappresentato nelle sceneggiature cinematografiche. Un riferimento insolito, il suo, perché non immediatamente riconoscibile, come lo è invece nella più volte citata sequenza di Sole a Catinelle, il film di Checco Zalone. Il Dott. Marino, invece, parla della ragazzina della serie Stranger ThingsUndici. Per molti aspetti, una storia di superpoteri, paura, silenzi e coraggio, che si avvicina molto al percorso verso la voce dei bambini con mutismo selettivo. Una storia di amicizia, e della forza dei legami. 

L'ultimo articolo, in questo spazio, è quello che racconta l'incontro presso la Commissione consiliare del Comune di Bologna, che ha accolto e ascoltato l'Associazione, con la prospettiva di unire le forze e dar vita a nuove iniziative per coinvolgere insegnanti, genitori, specialisti, nel riconoscimento del mutismo selettivo e della possibilità di dar voce al silenzio di questi bambini e ragazzi. 

Infine, lascio qui una frase, che da quando l'ho sentita è diventata un mantra, per me. Una frase-simbolo. Da scolpire nella pietra e ricordarsi per sempre, costantemente. Perché la trovo molto vera. L'ha detta un'insegnante, che ho avuto il piacere di incontrare in occasione degli incontri di A.I.Mu.Se. e che chiude ogni volta il suo intervento - in cui racconta della sua esperienza vent'anni fa con un'alunna mutoselettiva - con questa perla.

"Le parole non sono sempre il mezzo per entrare in relazione, talvolta ne sono la conseguenza". (Loretta Finch, insegnante)

venerdì 14 settembre 2018

Tra dubbi al passato e fiducia nel futuro

Quel bambino che gioca sullo scivolo lì, a due metri dal castello su cui si sta arrampicando Matilde, e che la sente esclamare, chiamare, ridere e parlare come tanti altri: mai sospetterebbe del mutismo selettivo. 
Quella signora in fila dietro di noi alla cassa del supermercato, che sente Matilde mentre mi aiuta a mettere sul nastro la spesa, e mi chiede, mi chiama, mi fa gli scherzi: mai direbbe che è una bambina mutoselettiva. 
Penso sempre questo, quando siamo fuori, in mezzo agli altri. Quando questi altri restano sullo sfondo, anche se vicinissimi. 
Matilde sta volentieri in mezzo alla gente, circondata di bambini, circondata di persone. Quest'estate non abbiamo perso occasione di andare ovunque. In piscina con le amiche, ai compleanni dei compagni di classe, alla festa di Ferragosto con parenti e persone nuove, al centro estivo anche solo per pochi giorni, alla serata di circo con le carovane, alle sagre dei paesi dove ci sono attività per i bambini, ai laboratori del festival della letteratura nella sezione dei più piccoli. 
Abbiamo chiamato la sua amica a casa e l'ho spronata all'uso della voce, che resta ancora per lo più inibito. Ma ho capito che basta davvero poco, uno stimolo entusiasmante, per attivarla. 
"Perché non chiedi a Giulia se vuole vedere il video del gatto matto?" le chiedo, prendendola in disparte nella camera accanto. 
Subito, si illumina in viso. Subito dopo, mi guarda perplessa. Come a dire: sì, ma come faccio?
Allora la rassicuro: "Glielo puoi dire anche all'orecchio, se vuoi". 
Lei corre in salotto da Giulia e, mettendo la bocca vicino al suo orecchio, ma con voce udibilissima anche a distanza, glielo chiede. 
"Vuoi vedere il video del gatto matto?"
L'amica sorride meravigliosamente come se avesse ricevuto il regalo più inaspettato, poi risponde di sì, e insieme si mettono a guardare il video. 
Il gatto in questione è Minou, la gattina che da fine luglio abbiamo preso in casa con noi. Matilde ne è innamorata. Che amasse gli animali lo abbiamo sempre notato, ma l'emozione di condividere la vita quotidiana con un gatto non l'aveva mai provata. E' bello anche per noi, ritrovare questo sentimento, dopo aver già vissuto con un'altra micia. 
Un animale può essere una risorsa in più, ci ha detto la nostra psicologa. Il rapporto con l'animale si pone ad un livello più profondo e, nell'interazione anche verbale con esso, si scoprono aspetti che riproducono le nostre sensazioni, i nostri vissuti. 
Ho notato che Matilde, oltre ad essere molto rispettosa e premurosa con Minou, e a divertirsi facendola giocare e vedendo tutte le cose buffe che combina, è anche molto attenta al suo linguaggio. A interpretare i segnali del gatto. Me lo chiede, a volte. Oppure mi dice che lo ha imparato dal libro, uno di quelli che prendiamo in prestito dalla biblioteca. 
"Mamma, cosa vuol dire quando ha le orecchie in giù?"
"Sai, mamma, quando Minou fa le fusa io le faccio le coccole, vuol dire che ne vuole ancora."
"Guarda, mamma! Quando Minou ha gli occhi così, a palla, vuol dire che è curiosa!"
Qualche sera fa, l'ho scoperta mentre giocava alla scuola con la gatta. Con tanto di lavagna e gessetti, angolo mensa, e spazio nanna. Sì, un misto tra la scuola e l'asilo. E proprio lì, dalla cuccia di stoffa con morbido cuscino, vedo Minou col suo sguardo rassegnato e sornione, mentre sta recitando la parte della piccola alunna sotto la coperta. Le mancava soltanto il ciuccio e il pigiamino, e poteva vincere il premio come miglior attrice non protagonista nella categoria animali! 

Mentre aspettiamo che la scuola ricominci (dopo essersi chiusa con una meravigliosa sorpresa, di cui avevo parlato qui), ecco che mi rimetto a ripensare al passato, a quelle cose che ho fatto fatica a capire, faticato ad accettare, cose forse sbagliate. Nell'incorreggibile mania dei genitori ansiosi di sezionare il vissuto, alla ricerca di errori e colpevoli.
Dicevo, una di queste cose è la primissima indicazione ricevuta al colloquio con la psicologa di classe, che aveva fatto un'osservazione generale durante il primo anno di materna, segnalando appunto a noi genitori il sospetto di mutismo selettivo in nostra figlia. La regola aurea dell' abbassare il livello d'ansia
A quell'epoca ero allo stadio zero di informazione, non sapevo minimamente cosa fosse il mutismo selettivo, né tantomeno come affrontarlo per risolverlo. Sapevo che si manifestava con l'impossibilità di riuscire a parlare con persone esterne alla famiglia, mentre a casa parla in modo del tutto normale, ma non sapevo assolutamente cosa fare per poterla aiutare. Soprattutto, mi chiedevo come fare ad abbassare 'sto benedetto livello d'ansia. C'è una rotella da girare, per caso, come fosse il volume della radio? Come si abbasserà mai, mi chiedevo. Nessuno me lo aveva detto. 
Non insistere, certo. Non forzarla a parlare, ovviamente. Ma oltre a questo? Non mi avevano detto di rendere l'ambiente tranquillo e rilassato, di dimenticare il silenzio, e concentrarsi invece sul coinvolgimento emotivo, sulle risate, sul divertimento assoluto. Perché quando l'obiettivo non è la parola, essa compare naturalmente da sé. Ignara di ciò, vagavo nel vuoto, con questo interrogativo nuovo sulla testa. 
Un'altra cosa a cui ripenso in maniera negativa è la fretta. Altra caratteristica di noi genitori ansiosi. Ma anche non. Forse può essere generalizzato a tutta la categoria. 
I genitori desiderano, progettano, vogliono e attendono questi loro figli, che poi caricano di stimoli e aspettative, chiedendo loro, anche implicitamente, di dimostrare, di spiccare, di essere adeguati. Ma i figli sono semplicemente loro stessi, con le loro capacità e difficoltà, con le loro passioni e le loro fatiche, con le loro risorse e le loro paure. Dobbiamo solamente aiutarli a diventare ciò che sono. 
Invece sempre più spesso abbiamo fretta di vederli corrispondere alla nostra idea, ai nostri desideri, a quello che noi vogliamo per loro. Fretta di risolvere i loro problemi. Fretta che risultino sempre adeguati, nel confronto costante con gli altri. Fretta di azzerare i loro difetti. Per renderli perfetti. Senza vedere che loro lo sono già. Perché fondamentalmente non accettiamo che abbiano imperfezioni. Abbiamo paura che non siano come gli altri, che non siano accettati. Invece poi i bambini trovano molte più risorse di noi, si fanno molti meno problemi. Accoglierli nella loro unicità, ecco il nostro migliore aiuto e compito. 
Il terzo pensiero risale a un progetto in particolare, realizzato in accordo con la maestra durante l'ultimo anno di materna. Ne avevo parlato qui, e si tratta di un lavoro fatto in classe raccontando la storia di un libro che rischiava di etichettare ancora di più Matilde come "la bambina che non parla". Si poteva invece lavorare sull'empatia (mi metto nei panni degli altri e capisco che provano le mie stesse sensazioni) e sulle uguaglianze nelle differenze (siamo tutti uguali ma diversi). Per far capire ai bambini che tutti possiamo avere diverse paure, anche noi adulti, nessuno escluso, ma che insieme riusciamo ad affrontarle e che, con il giusto aiuto, passeranno. 

Ma tra i dubbi del passato e le speranze nel futuro, c'è un presente fatto di serenità e gioia, perché la fiducia che lei ce la farà a superare le sue paure, sovrasta ogni ombra. 








domenica 9 settembre 2018

MOMENTANEAMENTE SILENZIOSI

Finalmente è uscita la Guida di AIMuSe per genitori, insegnanti e operatori! Un sogno che l'Associazione ha realizzato grazie all'enorme lavoro della famiglia AIMuSe e al prezioso contributo di tutti coloro che ci hanno raccontato il loro vissuto nel mutismo selettivo. Sì perchè la Guida, unica in Italia, è il frutto di nove anni di storie ascoltate, testimonianze raccolte, bambini ragazzi e adulti aiutati a superare il disturbo. Strategie che funzionano, tentativi falliti, soluzioni trovate. Un vero e proprio patrimonio di conoscenze messo a disposizione di ciascuno, e organizzato in schemi di semplicissima consultazione. Suddiviso per fasce d'età, e anche in base a chi lo sta leggendo, con consigli pratici per i genitori, strategie operative per gli insegnanti, e suggerimenti utili per gli specialisti. Una Guida esaustiva e completa, che risponde in modo davvero chiaro e preciso ad ogni domanda sul mutismo selettivo. Ogni singolo dubbio viene trattato e risolto. Nessuno si sentirà più da solo nell'affrontare il periodo in cui si è... momentaneamente silenziosi.
Buona lettura a tutti!

Dal 5 Ottobre 2018 la Guida è disponibile nelle librerie e sui canali di vendita online. 
Per i Soci AIMuSe il prezzo è ridotto, scopri qui tutti i dettagli.
Per maggiori informazioni o altro, scrivimi a chiara.mistri[@]aimuse.it (senza parentesi).



mercoledì 13 giugno 2018

Sorpresa di fine anno!

Ho il cuore che scoppia di gioia!
Matilde, al penultimo giorno di scuola, alla fine della prima elementare, si è lasciata andare con tutti! 
Tutti i compagni e tutte le insegnanti: parla e risponde all'orecchio con ciascuno di loro! Pazzesco, non me lo sarei aspettata, è proprio vero che quando tutto sembra immobile, arriva il cambiamento! 
Se tutto sembra fermo, è soltanto per prendere la rincorsa e iniziare a volare...

Pochi giorni prima c'è stata la festa di fine anno in classe, e nei preparativi mia figlia alzava sempre la mano quando veniva chiesto chi volesse fare quella determinata parte dello spettacolino. Una volta messa alla prova, però, Matilde ovviamente non riusciva a dire la sua frase. Allora abbiamo adottato il suggerimento della psicologa, in accordo con le insegnanti, per non far cadere nel vuoto la sua voglia di partecipare: farle fare una registrazione audio dei saluti finali, che sarebbe stata fatta ascoltare a chiusura della recita. Senza dire nulla ai compagni, che, ignari, in quel momento si sono soltanto guardati tra loro con facce interrogative, ma non hanno chiesto nulla. Dopo di che, sono partiti gli applausi finali e abbiamo festeggiato tutti insieme.
Il lunedì successivo, mi rivela in seguito la maestra, qualche compagno incuriosito ha chiesto di chi fosse quella voce ed è stato dichiarato che era la sua, quella di Matilde.
Non so se proprio da questo episodio possa essere scaturito il coraggio di farsi sentire. Perché sperimentare che l'ascolto della sua voce in classe non ha sortito conseguenze negative, che magari i bimbi mutoselettivi tendono a prefigurarsi come stravolgenti, è servito a lei in qualche modo per rendersi conto che alla fine è una cosa normale, e non c'è nulla da temere. La scelta di non dire nulla ai compagni, di non prepararli a sentire la voce sconosciuta della loro compagna silenziosa, aveva come obiettivo proprio quello di normalizzare l'avvenimento, senza creare in loro un'inutile aspettativa ansiogena, ma facendolo passare come qualcosa di assolutamente normale. Proprio come un bimbo fa quella parte, un altro bimbo fa quell'altra ancora, e lei fa i saluti finali in una modalità, quella della registrazione, che in quel momento le si confà maggiormente.

C'è stata un'anteprima, che ha preceduto questa sorpresa. Il giorno prima, appunto, all'uscita da scuola la maestra di matematica ha riferito al papà che Matilde le aveva detto una parola all'orecchio. 
Andò così: durante la pausa del pranzo, nel cortile antistante la scuola, mentre tutti i bambini stavano giocando, Alice, una compagna di classe, corse dall'insegnante e le disse "Maestra Filomena, Matilde mi ha parlato nell'orecchio! Mi ha detto ciliegia!". Al che, la maestra pensò di provarci. E il suo tentativo andò a buon fine. 
In quel momento i bambini, uno dopo l'altro, stavano rivolgendo all'insegnante parole d'affetto: "Filomena, io ti voglio bene!" "Anche io te ne voglio!" "Anche io!" "Anche io!".
La maestra allora, avvicinandosi a mia figlia, le chiese: "Anche tu, Matilde, mi vuoi bene?" Vedendo che annuiva, le propose: "Ti va di dirmelo?" A quel punto, Matilde prendendola per un braccio, tirò un po' verso di sé l'insegnante, avvicinandosi al suo orecchio, e le disse "SI'!".
Immagino l'emozione della maestra, bravissima a tenere dentro di sé la contentezza, per poi condividerla con noi. Ma devo dire grazie a tutte le insegnanti, da quella di italiano, a quella di inglese, passando dall'insegnante di italiano, perché sono state fin da subito estremamente disponibili, collaborative e seriamente interessate ad aiutare Matilde nel modo migliore. 

C'è stata anche una battuta d'arresto, successiva a questi due giorni incredibili. L'ultimo giorno di scuola, infatti, non ha più parlato all'orecchio né delle insegnanti, né dei compagni. Sapevo di questa possibilità: infatti, come viene detto da tutti gli specialisti, non è detto che quando avviene lo "sblocco", si possa poi considerare risolto il disturbo. Anzi, il percorso è lungo, ed è solo appena iniziato. Però, la speranza che lo ripetesse, un pochino l'avevo. Ad ogni modo, niente cancellerà la certezza del grande passo che ha fatto Matilde, e sono infinitamente orgogliosa di lei. 

Ma come si è sentita la protagonista di questo importante gesto? 
L'intervistata mi ha sorpreso quando le ho chiesto che effetto le abbia fatto: "è stato facile!" mi ha risposto candidamente. E ha dichiarato di essersi sentita bene, felice.
E adesso che la scuola è finita? 
Come facciamo a tenere in allenamento la piccola coraggiosa? 
Non si può prolungare la scuola di un altro mese, vero? 
Peccato. 
Ci vogliono altre occasioni, per non disperdere questa preziosa esperienza nei tre lunghi mesi di pausa estiva. Vedremo al mare che succederà...
Intanto è iniziato. Godiamoci il viaggio
Il cammino è lungo, ma la strada è quella giusta!


lunedì 7 maggio 2018

In bilico

Scriverò un po' di come mi sento.
Forse ne ho bisogno, in questo periodo.
E' una fase, questa, in cui tutto sta filando via liscio. Dopo le incertezze dei primi tempi, delle prime settimane di scuola, Matilde ha consolidato le sue relazioni e le sue modalità. Parla nell'orecchio di Giulia, la nuova compagna di classe con cui ha legato molto. Fa volentieri le videoregistrazioni dei compiti di lettura, da spedire via telefono all'insegnante di italiano. 
Ha continuato ad andare a danza, alle feste di compleanno, a casa di amiche, che abbiamo invitato a nostra volta da noi. 
Negli ultimi mesi tutto è andato bene, senza inciampi né slanci. 
Tutto è tranquillo. Troppo tranquillo.

In questa fase, mi sento sempre più in bilico tra due sensazioni: da una parte, l'aspettare senza forzare, nel rispetto dei suoi tempi, e dall'altra invece la spinta ad accelerare, per trovare uno stimolo alla parola.
Le insegnanti durante il colloquio mi chiedono cosa possono fare. Io mi trovo impegnata a organizzare un incontro A.I.Mu.Se. proprio a Castelfranco, al quale parteciperanno loro, le tre maestre. Può sembrare strano: parlo di mutismo selettivo come referente regionale, però poi ho difficoltà a parlare del mutismo selettivo di mia figlia. Sento ancora, io, un certo disagio nel fare i conti con questo problema, una certa fatica che continua a presentarsi, e me ne sono accorta in un preciso momento, durante un episodio successo qualche giorno prima. 
Stavo accompagnando Matilde a scuola in orario posticipato, quando mi si avvicina una bidella, che approfitta per dirmi qualcosa su Matilde, in sua assenza.
"E' bellissima, complimenti, ma è molto chiusa... Un giorno le ho detto sei bellissima come ti chiami, e lei non ha risposto. Anche le maestre mi hanno detto che non parla, parla solo coi genitori".
Io, prima di quel momento, non avevo mai avuto occasione di scambio con le bidelle, in generale. Sinceramente avrei voluto sorvolare sull'argomento, proprio perché provo disagio nel doverne parlare a persone - diciamo così - esterne, che non siano direttamente a contatto con Matilde, come invece lo sono insegnanti o parenti. Forse sbaglio io a partire diffidente: non so fino a che punto queste persone possano capire le mie spiegazioni, e soprattutto non so mai bene come porre la questione, quali parole usare. Parole, appunto.

Ad ogni modo, alla bidella ho accennato molto brevemente al mutismo selettivo, dicendo che è un blocco dovuto all'ansia, soprattutto quando la bambina si sente chiamata in causa, e che ha bisogno dei suoi tempi. Avrei dovuto aggiungere che non bisogna forzarla, ma lì per lì non mi è venuto. Mi ha detto che anche un'altra bambina della scuola era così timida, ma adesso questa bambina parla anche coi muri. Ho precisato che Matilde invece non è timida, perché dimostra di voler stare in gruppo e divertirsi, alle recite, alle feste, al corso di danza, agli spettacoli. Ho aggiunto che anche alla materna non parlava con le maestre ma con una o due amichette sì, nell'orecchio. E adesso alle elementari ha una compagna di classe con cui ha legato molto, e alla quale parla all'orecchio. La bidella mi dice che lo sa, tramite le insegnanti.
E a questo punto nasce spontanea in me una domanda: perché questa persona me lo sta chiedendo? Era già informata: voleva dunque un confronto diretto con me? Me lo ha detto perché pensava non sapessi della difficoltà di mia figlia a scuola? O perché stava cercando di sapere come fare e come comportarsi con lei?
Ne ho parlato al telefono con la nostra psicologa, e mi confronterò separatamente con lei, per cercare di capire cosa mi faccia sentire a disagio, cosa e quanto c'è di me nelle risposte che do su Matilde, cosa mi spinga a voler sempre giustificare mia figlia rispetto al disturbo che ha.

Avevo consegnato in settembre alle insegnanti il Kit ècole, la guida che a quei tempi l'Associazione A.I.Mu.Se. era autorizzata a mettere a disposizione, con diversi consigli pratici, anche se strutturati più per la fase della prima infanzia. 
Al colloquio provo a dare loro un paio di suggerimenti, che avevo discusso insieme alla psicologa. Il primo ha l'obiettivo di creare un ambiente protetto e una relazione "a tu per tu" per favorire la parola e la voce. Per far sì che non sembri un tentativo fatto appositamente nei confronti di Matilde, si tratterebbe di far uscire dall'aula un alunno alla volta, in un momento di compresenza delle insegnanti, con la scusa di far fare la lettura di un brano in un'aula separata, magari motivando con la necessità delle insegnanti di verificare il livello raggiunto. Limitandosi poi alla semplice lettura di un testo, la richiesta nei confronti del bambino è meno impegnativa e la sua produzione verbale può così risultare più facilitata, senza che debba lui rispondere a domande o fare un discorso. Sottopongo fiduciosamente alle insegnanti questo consiglio, anche se poi riferisco loro che il mio tentativo di sondare il terreno con Matilde, provando a proporle l'idea di un esperimento del genere, ha avuto esito negativo: lei dice che non se la sente ancora. E torna allora il dubbio rispetto ai tempi da rispettare: attendere o forzare?
Anche il secondo suggerimento non è detto che funzioni, sebbene dal racconto che mi è stato riferito si deduca che grazie ad esso si sia sbloccata una bambina mutoselettiva. L'ambiente stavolta è la palestra di scuola: durante l'ora di ginnastica, dopo aver fatto correre a più non posso i bambini - lo sfogo fisico serve a rilassarsi e liberare la mente - l'insegnante li fa sedere in cerchio a terra, e dà il segnale di gridare una vocale con maggiore intensità quanto più la docente stessa alza il suo braccio, come fosse un misuratore di suono, un termometro della voce
I piccoli passi non iniziano da un parola. Iniziano da un suono, da un soffio, da un sssssssssss... che più avanti potrà diventare un SI'...



lunedì 19 febbraio 2018

La nonna e il gioco delle parole

Circa un anno fa Matilde smise di parlare coi nonni paterni.
All'improvviso, da un giorno all'altro.
Non sappiamo perché.
Abbiamo accettato la cosa, facendo finta di nulla, senza forzare, per paura di fare qualcosa di sbagliato che potesse peggiorare la situazione.
Ma quel perché era diventato un mistero assillante, non riuscivamo davvero a capire.
Poi, in settembre, arrivò la perdita del nonno, in modo altrettanto inaspettato e improvviso.
E' rimasta la nonna, e anche il silenzio di Matilde nei suoi confronti.
Chiedemmo allora alla nostra psicologa cosa poter fare per recuperare la comunicazione verbale tra nonna e nipotina, e lei ci consigliò un paio di strategie.

Innanzitutto, e come sempre, fare passaggi per gradi
Primo step: Matilde parla con noi genitori nella stanza accanto a quella dove sta la nonna. 
Secondo step: Matilde parla con noi genitori in presenza della nonna nella stessa stanza. 
Terzo step: Matilde parla alla nonna.
E questo, gradualmente, si è verificato. Inizialmente Matilde rispondeva alle nostre domande soltanto quando ci appartavamo nell'altra stanza. 
Poi, il passo successivo è avvenuto in una sera particolarmente allegra. Eravamo invitati a cena dalla nonna e i momenti più salienti sono riassumibili in due fasi cruciali. 
Nella prima, ci sono io sul divano della sala, seduta in mezzo a Matilde e a sua sorella, mentre guardiamo sul tablet della nonna alcuni video didattici per imparare i colori. La nonna intanto sta ai fornelli a preparare la cena, a pochi metri da noi, nella stessa stanza. Per coinvolgere le bimbe, e soprattutto stimolare la risposta vocale di Matilde, comincio a chiedere all'una e all'altra, a turno, i colori che man mano compaiono nel video. Cerco insomma di fare semplici domande su quello che stiamo vedendo e facendo. "Vediamo adesso se Michela indovina il colore che arriva!" "Giallo!" risponde lei. "Brava! E ora tocca a Matilde: che colore ci sarà? Vediamo se indovini!" Lei fa per avvicinarsi, ma non chiude stavolta le sue manine attorno al mio orecchio, per darmi la risposta. Arriva a venti centimetri dalla mia guancia, e dice piano, ma a voce udibile: "Verde!". "Ottimo!" le rispondo. Non faccio altri commenti, né io, né il papà, né la nonna. Andiamo avanti così per un po'.
Ma nel dopo cena c'è un'altra sorpresa. E il bello è che è tutto successo in modo naturale e spontaneo, come dev'essere. Siamo di nuovo tutti sul divano, stavolta la nonna è lì con noi. Tutti chini sullo schermo del tablet, a giocare al gioco preferito dalla nonna: gli indovinelli di parole. Una specie di Scarabeo in cui, a partire da un determinato set di lettere, bisogna trovare diverse combinazioni per formare il maggior numero di parole.
Il gioco è avvincente, e tutti quanti tentiamo di dare la nostra soluzione. Siamo tutti talmente divertiti e coinvolti, che a un certo punto anche Matilde si mette a suggerire le possibili parole. "Papà, metti APE!". Il volume della sua voce è quello normale, di sempre. Anzi, di come lo conosciamo noi. Ne dice un altro paio e poi, quando lentamente l'interesse generale va a scemare, si cambia gioco e Matilde torna nel suo silenzio. O meglio, nelle sue risate sguaiate con la sorella, ma senza parole. 
La nonna ha diligentemente evitato ogni forma di commento o manifestazione di sorpresa nel sentirla - o meglio risentirla - parlare, e in questo è stata bravissima. 
E il terzo step? Sì, pochi giorni dopo è capitato, non so bene se per sbaglio o con intenzione. Una sera suona il telefono: "Dai, Mati, rispondi tu, saranno i nonni!" Lei schiaccia il verde sul telefono mobile, e dice Pronto. "Ciao!" si sente dalla cornetta. Ciao, risponde Mati. "Chi è? Matilde sei tu?" Al telefono c'è la nonna paterna. "Sì". "E dov'è la tua sorellina?". "E' qui!". Il breve scambio finisce così, e forse se n'è resa conto troppo tardi che aveva parlato con la nonna al telefono, o forse no. Ad ogni modo l'ha fatto. 

L'altro suggerimento della nostra psicologa è rivolto all'aspetto più introspettivo della situazione, alla consapevolezza di Matilde rispetto alla sua difficoltà, e non solo.
Spesso, nel nostro ruolo di genitori, siamo abituati a parlare per loro, a fornire già le nostre soluzioni e le nostre risposte, senza lasciare spazio a quello che viene direttamente dai nostri figli, dalla loro interiorità. Spesso confondiamo educare con imporre - o impostare - il nostro modo di vedere le cose, la nostra visione.
Invece, dialogare realmente coi nostri figli significa interloquire sotto forma di domande aperte, per stimolare la loro personale riflessione, e permettergli di trovare le proprie risorse, le proprie risposte.
E così, anziché dire a Matilde "Dovresti fare X per riuscire a fare Y", chiederle invece "Pensi che se facessi X riusciresti a fare Y?", lasciando a lei le riflessioni e le conclusioni.
Ad esempio, come le avevo domandato qualche tempo fa, cogliendo il consiglio: "Pensi che parlando con la nonna, potresti aiutarla a imparare a giocare?", spiegandole come premessa che la nonna, avendo avuto due bambini - che sono il papà e lo zio - tanti anni fa, adesso non è più abituata a giocare coi piccoli e non si ricorda più come si fa. Oltretutto è un modo, questo, per far capire a Matilde che anche gli altri potrebbero essere in una situazione di bisogno, e lei potrebbe essere in grado di aiutarli.

Comunque, anche se il sentimento di fiducia è quello che prevale, ci sono momenti in cui il mio desiderio di vederla improvvisamente sbloccarsi, ingigantisce la dimensione del problema. 
E' difficile aspettare.
E' difficile dirsi, ogni volta che sento ancora il suo silenzio, "fa niente, sarà per la prossima volta".
Sembrano tante occasioni perse.
Occasioni perdute per sempre, che non potranno tornare indietro.
Ma occorre rispettare i suoi tempi.
Occorre aspettare.
Perché ci arriva lei.
Ci arriva, anche lei.





mercoledì 17 gennaio 2018

Piccoli P-assaggi

Matilde sta crescendo. E' grande.
Chiede, riflette, partecipa.
Ha voglia di conoscere, di essere coinvolta, di fare nuove esperienze.
E impara, aiuta, si entusiasma. 
"Mamma, cosa vuol dire questo?"
"Mamma, cosa stai facendo? Ti posso aiutare?"
"Mamma, vorrei andare a vederlo, l'acquario di Genova".
E' come sempre tutto graduale. Poco poco. Piano piano.
Un lento ma progressivo avvicinarsi. Scoprire, provare. 
Senza mai tirarsi indietro.
Ecco, Matilde non si nega, non evita
A danza, alle feste, alle recite scolastiche. 
Nonostante il silenzio. Nonostante la sua voce si nasconda, e la parola si arresti in gola. 
La sua risata è una melodia, i suoi urletti gioiosi risuonano nell'aria. 
Partecipa, si lascia coinvolgere, si lancia. Ne ha voglia. La sua voglia supera il disagio
Anche perché è sempre stata accolta da tutti. 
Arriverà il momento in cui il suo desiderio di comunicare non sarà più contenibile e travalicherà l'argine dell'ansia.
In questi ultimi mesi, dall'incognita dell'inizio della scuola ad oggi, di piccoli passi ne ha fatti eccome. E all'ultimo colloquio di fine novembre con le insegnanti, avvenuto in presenza anche della nostra psicologa, sono emersi segnali positivi di rassicurazione. Matilde è più serena rispetto ai primi giorni: non usa più la foto, quella dove siamo ritratti noi genitori, che le avevo dato nello zaino e che lei ogni giorno metteva sul banco, e non piange più per un bisogno che non riesce a esprimere o una difficoltà da comunicare, ma usa il quaderno e lo porta alla maestra, per mostrare dove le serve un aiuto. 
Al colloquio ci riferiscono anche che Matilde parla sempre più spesso all'orecchio di Giulia, e che in generale il suo inserimento con i nuovi compagni è stato positivo, anche grazie alle capacità delle insegnanti che hanno lavorato in questa prima fase proprio con l'obiettivo di creare un clima di accoglienza nella classe
Tant'è che ci siamo dati tempo fino a marzo per iniziare a stilare il PDP, il piano didattico personalizzato che servirà a individuare gli strumenti più idonei per la comunicazione di Matilde a scuola. 
Nel frattempo, in accordo con l'insegnante di italiano, continueremo a inviare le videoregistrazioni dei compiti di lettura o delle poesie da imparare. E anche questo, il fatto cioè che Matilde abbia accettato di farsi sentire - seppur in modalità differita - mostrandosi nei video all'insegnante, rappresenta una conquista non da poco.

Breve flashback.
Precisazione d'obbligo: in classe, la parola di Matilde è comparsa. 
Primi testimoni siamo stati noi, i suoi genitori e la sua sorellina. Sì, perché grazie alla grande disponibilità delle insegnanti e della vicepreside, abbiamo potuto accedere alla scuola un sabato mattina di metà novembre, in orario extrascolastico nell'aula vuota, sebbene la scuola fosse aperta e popolata da bidelli, docenti e studenti del cosiddetto modulo
Nella sua aula c'eravamo solo noi e Matilde con la sua macchina fotografica che, come previsto dai nostri piani, avrebbe dovuto registrare un video-documentario commentato da lei, da mostrare poi ai nonni. Non è andata così, perché ha preferito scattare diverse foto, anziché registrare dei video, ma alla fine ci è riuscita. 
C'è voluta una buona mezz'ora, prima di sentire la sua voce, sebbene non ci fosse nessuno oltre a noi. Notavo che quella voglia di cui parlavo, la voglia di comunicare, era forte: ad ogni mia domanda, ad ogni mia curiosità, rispondeva con un mugugno rauco a labbra serrate. E' stato soltanto quando infine le ho detto "Guarda Matilde che puoi dirmelo, tanto siamo solo noi!" che si è lasciata andare e ha fatto uscire la parola che teneva tra i denti. Quasi come se le avessi dato una sorta di permesso. Mi ha descritto le immagini affisse ai muri dell'aula, correggeva i miei studiatissimi errori fatti apposta per farmi correggere, e ha detto andiamo quando voleva andare. 
Curiosamente, è stato durante la nostra visita nei locali del bagno che Matilde ha pronunciato in maniera del tutto spontanea la sua frase più lunga. Avvicinandosi alla porta di uno degli scompartimenti, ha esclamato: "Guarda, mamma, c'è anche la chiave per chiudersi dentro!"

Tornando al periodo appena trascorso, periodo natalizio di feste e incontri, ci sono state diverse occasioni in cui Matilde ha dimostrato il suo entusiasmo nel partecipare, dalle recite scolastiche alle feste di compleanno, e in generale alle iniziative organizzate nel nostro tempo libero in cui l'abbiamo coinvolta.
I canti di Natale a scuola
Siamo andati a vedere lo spettacolino di Natale della classe di Matilde. Sul palco, i bambini di due classi prime, tutti vestiti di rosso con i loro cappellini stile babbo. In scaletta, la "Canzone delle vocali", e una serie di classici canti natalizi. Matilde è in prima fila, come vuole l'ordine di altezza, con una lettera "I" di cartoncino appesa al collo. Per la coreografia delle vocali nessun problema: ormai lo sappiamo che a Matilde piace muoversi e ballare, e anche al piccolo saggio natalizio della scuola di danza, aveva già dimostrato la sua nota bravura nell'esecuzione dei movimenti a tempo e ben coordinati. E' il momento di cantare. Nei giorni delle prove, le diedi un piccolo suggerimento: "Ehi, senti che idea: se non te la senti, puoi provare comunque a muovere le labbra, facendo finta di cantare, tanto in mezzo a tutti sembrerà che canti anche tu!". Zoomiamo sul suo viso col telefonino che riprende, e a tratti sembra proprio che faccia il labiale! Non un improvvisato bla-bla-bla, ma un seppur impercettibile labiale corrispondente alle parole del testo. 
Poi, viene il momento dell'augurio finale, ed ecco a cosa serviva la sua pettorina con la "I"! Sei bambini avanzano e vengono posizionati in riga, a formare con le loro letterine la parola "AUGURI". Al microfono l'insegnante annuncia: "Noi e i bambini vogliamo augurarvi un Natale pieno di..." ed ecco che il microfono inizia a passare di bocca in bocca, e tocca alla prima bambina con la "A", "AMORE!"; "UNIONE!" grida la seconda; "GIOIA!" la terza, e così via fino alla penultima che esclama la sua parola "RISPETTO!" e poi il microfono arriva alla bocca di Matilde... silenzio. Doveva dire: "insieme". Attimo di esitazione, poi a dirlo è la sua compagna di fianco, Karolina, che prende il microfono e lancia nell'aria il suo "INSIEME!". 
E' stato un azzardo, un rischio, anche una decisione piuttosto spregiudicata, da parte delle insegnanti, mettere Matilde in prima fila con la letterina, ma ne siamo contenti, è stato un cercare di cogliere una sfida, un farla uscire dalla sua zona di comfort, come si diceva. 
E quella parola, insieme, suona particolarmente simbolica: è come se Matilde e Karolina fossero unite nel lanciare proprio il messaggio che è contenuto in quella bellissima parola.
Il mago alla festa di compleanno.
Siamo stati invitati alla festa di compleanno di Bianca, la figlia di una mia amica ed ex collega, e siamo andati molto volentieri. Matilde non ha problemi con le situazioni di questo tipo: passata la prima fase che serve ad ambientarsi, la vedo sempre trovarsi a suo agio. Corre, ride, gioca, pur se silenziosa. 
Alla festa c'è un mago. Tutti i bambini radunati in semicerchio per assistere allo spettacolo. Iniziano le prime esibizioni, le gag, i trucchi, la giocoleria, le magie. Il mago chiama in scena alcuni bambini per i suoi numeri. Matilde viene coinvolta ben due volte. La vedo alzarsi dalla sedia senza esitazioni e andare sotto i riflettori. E' sicura. La prima volta il mago fa tenere tra le mani dei suoi piccoli "assistenti" un bastoncino, in cima al quale lui posiziona il piatto rotante. La seconda volta, invece, il mago si mette a capofila e, a suon di fischietto, ordina una sequenza di movimenti e gesti buffi, che i bambini devono ripetere imitando le sue mosse. 
Un'altra piccola sfida, per Matilde. Sì, perché salire sul "palco" del mago significava assumersi il rischio dell'ansia per l'ignoto: il mago le avrebbe potuto chiedere di pronunciare il suo nome, come può spesso verificarsi in queste occasioni, oppure le avrebbe potuto chiedere qualsiasi altra performance vocale, "Dì la parola magica!" ad esempio, come ha effettivamente chiesto alla bambina coinvolta in un'altra scenetta.
Sono questi, gli impercettibili passetti in avanti ai quali mi riferivo più sopra. 
E mi rendono felice e orgogliosa per lei.
La cena di classe in pizzeria.
Anche in questa occasione ho visto Matilde molto disinvolta, e soprattutto c'era Giulia, la sua amica speciale, la sua confidente. Affiatate, complici, spensierate, più volte ho sorpreso le due amiche appartate, con Matilde che sussurrava all'orecchio di Giulia le sue parole.
Soltanto una volta sono intervenuta, sostituendomi ancora una volta alla voce di mia figlia, quando l'animatrice, che quella sera intratteneva i bambini nella saletta giochi del locale, ha giustamente chiesto il nome a tutti, nel classico circle time tra i bambini seduti in cerchio. Arriva il turno di Matilde ma, ancor prima che io possa rispondere per lei, il suo silenzio è subito riempito dalla voce di una compagna di classe, ed ex compagna di asilo, che squilla il solito: "Lei non parla!
Inghiotto ancora una volta il mio fastidio e, rivolta all'animatrice, rispondo soltanto pronunciando "Matilde".
Nel caos della festa, non mi sembrava quello il momento per le spiegazioni sul mutismo selettivo, e ho lasciato cadere ogni tipo di commento. Anche perché tutto sommato l'animatrice mi è sembrata persona di discreta comprensività, necessaria per gestire con il giusto tatto e buon senso a situazione. 
Ma in realtà ho sempre il dubbio su come dovermi comportare in questi momenti, non so mai se faccio bene o male, non so mai esattamente cosa devo fare, e in sostanza a fregarmi è l'immediatezza della situazione, che mi coglie sempre impreparata.
Fare nuove esperienze.
Siamo andati, per il ponte dell'Immacolata, a fare una giornata sull'appennino modenese, a visitare un paesino vicino a Zocca, dove allestiscono, lungo le vie del borgo antico, una serie di originali presepi. A Matilde è piaciuto molto, forse anche perché purtroppo noi non lo facciamo d'abitudine, di andare a fare brevi gite fuori porta. Cosa che invece io ricordo piacevolmente nella mia infanzia, quando di frequente coi miei genitori e un gruppo di amici di famiglia si andava a visitare posti nuovi, a mangiare fuori, a stare assieme. 
Quel giorno abbiamo anche incontrato casualmente, in giro per gli stessi luoghi, un paio di vecchie e nuove conoscenze, anche loro coppie con figli, e abbiamo così potuto condividere, sia noi grandi che i nostri piccoli, l'allegria di quella giornata.
Capisco che a Matilde è rimasto impresso e che le è piaciuto. Il giorno dopo, mi mostra il disegno che ha appena fatto: un paesaggio di montagna, con il sole al tramonto e le case sulle colline, suggestivo proprio come quello appena goduto.

A presto con ulteriori aggiornamenti, che riguardano Matilde e la nonna paterna...