Mi-Re-Do. Do. Do.
Do-Re-Mi. Mi. Mi. Re. Do.
Il maestro Flavio che accompagna i bambini con la chitarra. I genitori che fanno da spettatori curiosi e divertiti. I bambini schierati di fronte, impegnatissimi a suonare gli strumenti che loro stessi hanno costruito. Il piccolo concerto, improvvisato alla fine dei cinque incontri di laboratorio, è stato il modo più emozionante di salutarci prima dell'estate.
Avevo iscritto Matilde al laboratorio di musica, sull'onda dei suggerimenti della psicologa. Non mi aspettavo certo che iniziasse a parlare improvvisamente con tutti i bambini e gli educatori. Però ero assolutamente decisa a seguire il consiglio, anche perché l'idea, in fondo, piaceva anche a me. Io che non so suonare alcuno strumento, e tutt'al più so comporre "ad orecchio" sulla pianola Fra Martino o Bella Ciao. Mi entusiasmava. E avevo cercato di trasmettere questo entusiasmo a Matilde, nell'annunciarle la nuova avventura che avremmo intrapreso. Lei sembrava incuriosita.
La prima lezione si rivelò un po' deludente, rispetto alle aspettative che mi ero fatta. Due ore, dieci bambini tra i tre e i sei anni, altrettante mamme o papà, un maestro di musica alto e forte come un gigante buono, Flavio, una educatrice giovane e frizzante, Eleonora, il suo collega più pacato e riservato, Raffaele, tutti stipati come sardine nella sala prove di due metri per due del polo culturale Officina. Il maestro Flavio, imbracciando la sua chitarra, ha guidato i bambini in un viaggio attraverso tutti gli strumenti e i vari generi di musica nel mondo e nella storia. Pur essendo una lezione quasi "frontale", lunga e nel finale stancante, è stato tutto sommato coinvolgente. Ogni bambino ha potuto sperimentare il suono di tutti gli strumenti, che passavano bramosamente di mano in mano. C'era persino il bastone della pioggia, l'ukulele, e una specie di scacciapensieri.
Osservavo Matilde, in mezzo a quella bolgia di bambini rumorosi e scatenati. E notavo sia la sua voglia di partecipare, che sempre dimostra e ha dimostrato. Ma anche la sua - non so come chiamarla - difficoltà, diciamo. Spiccava il suo silenzio. Soprattutto quando il maestro le rivolgeva la parola, per coinvolgerla nell'interazione con il gruppo. Mi ero premurata - seguendo ancora una volta i consigli della dottoressa - di informare subito gli educatori del "problema" di Matilde. E così, dopo esserci presentati, li raggiunsi in disparte, in un momento di pausa, per comunicare loro che Matilde attualmente presentava un tipo di mutismo selettivo extra-famigliare. Eleonora e Raffaele in modo molto gentile mi rassicurarono, e in modo molto comprensivo mi assicurarono che avrebbero tenuto conto di questo aspetto nel relazionarsi con mia figlia, senza metterla a disagio con le richieste di verbalizzare le sue interazioni.
Ma, ancor prima di poter creare le basi di un contesto il più sereno e inclusivo possibile per Matilde con le mie raccomandazioni agli educatori - di evitare di sottolineare il problema, di rispettare i suoi tempi -, la realtà senza filtri venne fuori dalla bocca di una bambina. Ilenia, un anno più grande, che già conoscevamo dalla frequentazione dell'asilo nido e del parco, lì, nel grande salone di Officina, ad Eleonora che ci stava accogliendo per la prima volta con il classico "Ciao, bellissima! Come ti chiami?", aveva risposto lei, con la sua voce squillante. Al posto di Matilde. E pure al posto mio.
"Lei non parla. Parla solo coi suoi genitori!"
Grazie, Ilenia.
Mentre mi infastidisco per l'intromissione non richiesta, provo il solito imbarazzo.
Che dico?
Mi giustifico con Eleonora?
Mi rivolgo a Ilenia?
E Matilde, lì, protagonista della scena, che cosa pensa?
Sto zitta. Ma mi mordo la lingua.
Vorrei dire: "E' vero, Ilenia non si sbaglia. E' proprio così. Parla con noi genitori e con gli altri no. E quindi? Che problema c'è?"
Ma pazienza. Ormai è andata.
E soprattutto, capisco che sono ancora una volta io, per prima, a non accettare la difficoltà di mia figlia. E' quello, il primo problema che c'è.
La stessa scena si ripete poi anche col maestro Flavio, le prime volte che provava a interloquire con Matilde. Non avevo fatto in tempo ad avvertire anche lui, prima che iniziasse la sua lezione nella sala prove. Speravo che Eleonora e Raffaele facessero da tampone, da mediatori. Invece no. Pazienza.
A volte - mi dico - è anche bene, forse, scontrarsi un po' con la realtà. Perché mica tutti possono essere preventivamente informati, mica posso parare tutti i colpi. Quelli più grossi, sì, magari. Ma il resto del mondo, diciamo, quello è un po' troppo vasto.
Ad ogni modo, gli altri quattro incontri sono stati molto interessanti e divertenti, per i bimbi. Giochi, racconti, esperimenti, costruzione di strumenti con materiali di recupero. Maracas, con bottigliette di plastica riempite di conchiglie. Chitarre, con scatole da scarpe ed elastici. Trombe, con rotoli di cartone e palloncini sgonfi. Tamburi, con barattoli di latta decorati di immagini su carta.
Dell'esperienza, spero sia rimasto a Matilde lo stimolo alla creatività, alla fantasia, e la voglia di emozionarsi e comunicare attraverso la musica. A me, è venuta voglia di imparare a suonare uno strumento. Chissà se mai lo farò.
Con le ma-ni-ni.
Con le ma-ni-ni.
U-na mu-si-ca fa-rò.
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