sabato 2 dicembre 2017

Amore e comprensione

Ho capito.
Ho finalmente capito. Perché l'ho provato.
E' proprio così: puoi rifletterci anche molto, analizzare, studiare, anche in estrema profondità. Ma finché non lo provi, finché non lo senti dentro, finché non lo vivi, la comprensione resta qualcosa di incompiuto, di incompleto.

Avevo parlato qui della paura di sbagliare. 
Di come i disturbi d'ansia, tra cui il mutismo selettivo, affondino le loro radici nella paura legata a una particolare situazione, una prestazione attesa o richiesta, una prova da superare.  
In generale, la paura non è sbagliata, anzi è un prezioso meccanismo che ci fa allertare di fronte ai pericoli e agli imprevisti, e ci fa prendere le decisioni con maggiore prudenza, senza rischiare di andare incontro a conseguenze negative.
Ma in questi casi la paura non è sana: è una paura paralizzante. Una paura che ti congela, che ti fa sentire completamente bloccata.
Mi sono sentita esattamente così, io, sul luogo di lavoro. L'ennesimo nuovo lavoro, che quest'anno sto imparando a fare. Ne ho già cambiati tre in otto mesi, e alla fatica di ricominciare daccapo in un nuovo ambiente, con altri colleghi e altre mansioni, stavolta si aggiungono ulteriori elementi di difficoltà: la mia totale inesperienza nel ruolo, abbinata all'insufficiente formazione ricevuta e all'assenza di affiancamento precedente. 
I primi giorni di lavoro mi sentivo quindi come fossi salita su un treno in corsa che dovevo guidare senza conoscere i comandi. Ovviamente, sbagliando molto spesso. La possibilità di commettere errori l'avevo messa in conto, in fondo è qualcosa di fisiologico nei primi tempi, e come previsto si è verificata. 
Quello che non potevo mettere sul piatto della bilancia era il fatto di trovarmi di fronte ai modi spesso ruvidi del capo. Questa modalità, questo atteggiamento, su di me ha un effetto negativo: mi mette in estrema soggezione, mi fa andare in ansia e mi blocca, per la paura di sbagliare. Così si innesca inevitabilmente un corto circuito: quando si tratta di qualcosa sulla quale sono incerta - ma persino nelle cose che so fare - il fatto di farla sotto la sua osservazione, anziché rassicurarmi, mi manda in confusione, e la paura di sbagliare mi fa sbagliare davvero. 
Quindi, la mia performance risulta sempre negativa. 
Non sto a raccontare le serate in cui rientravo a casa dal lavoro in lacrime. Frustrata dalla sensazione di sentirmi sbagliata, inadeguata, mortificata. Pensavo di non riuscire ad andare avanti così. Ero veramente demoralizzata e stavo valutando la possibilità di abbandonare. 
Poi, la svolta.
E' bastato lo scambio, il confronto coi colleghi, a farmi capire che non era così, che non ero io ad essere sbagliata, che la cosa andava rivista da un'altra prospettiva. 
Allora mi sono tranquillizzata, e mi sono detta che posso farcela.
E ho capito una cosa fondamentale: è tutta una questione di tempo.
Devo solo darmi il tempo necessario per conoscere e affrontare nel giusto modo la situazione.
Questa esperienza mi ha fatto riflettere sul mutismo selettivo: allora è così che ci si sente quando l'ansia blocca tutto. Un vero sconvolgimento, a tal punto che in quei momenti stentavo anche io a riconoscermi. Io non sono così. Non sono quella
Perché succede così? Perché ci si blocca? 
Non lo so. Non lo so io, che sono adulta. 
Figuriamoci un bambino con mutismo selettivo: sente solamente il cuore palpitare, un forte disagio, la pancina in subbuglio, ma sicuramente non ne sa il motivo. E allora la fatidica domanda "Perchè non parli?" non può (ancora) trovare risposta, da parte sua. Ed ecco l'importanza di concedersi tempo. Tempo per entrare in relazione. Per costruire una relazione. Un clima sereno e rassicurante. Non oppressivo, non giudicante. 
Allora ringrazio questa opportunità. Mi è davvero servita, perché viverla mi ha permesso non solo di provare quella sensazione, di comprenderla veramente, ma anche di riflettere su quanto sia importante il ruolo che gioca il tempo. Per cui il vero, grande consiglio è quello di rispettare i tempi di ciascuno, e di cercare la chiave emotiva per entrare in relazione, nonostante il silenzio. 

Concludo con il richiamo al titolo di questo post.
Amare, amare i propri figli, significa comprendere i loro stati d'animo, le loro paure, le loro sensazioni. Senza volerle negare con la classica frase di rassicurazione "non preoccuparti, non c'è nulla di cui aver paura".
Qualcosa che fa paura c'è eccome, e quel qualcosa va accettato, compreso, normalizzato e superato.
Solo così si può affrontare e risolvere la questione. 
Non potevo che intitolarlo così, dopo aver ritrovato, proprio in questi giorni, alcuni miei vecchi quaderni di scuola, in particolare quello di materia alternativa
A nove anni, su quel quaderno, scrissi così:

"Secondo me l'amore e la comprensione sono due cose che si possono unire insieme perché se a una persona gli vuoi bene ed è in un momento di difficoltà riesci a capirla.
I miei genitori mi dimostrano amore e comprensione anche quando mi sgridano, perché secondo me lo fanno per il mio bene".

Ora ho una figlia a cui voglio più che bene ed è in un momento di difficoltà, e adesso riesco davvero a capirla.
In fondo, lo sapevo già da tempo.