venerdì 17 maggio 2019

Lezioni di volo

Questo sarà un post suddiviso in maniera molto schematica in paragrafi.
Perché quando occorre riassumere tutti gli avvenimenti tralasciati in questo tempo, occorre metodo.
Razionalità.
Sono rimasta indietro, sì. Ma recupero subito con grande slancio.
Che lo spirito della concisione venga a me.

TERAPIA
Ci chiama subito dopo Natale una nuova neuropsichiatra infantile: sarà lei a prendere in carico Matilde d'ora in poi, avendo la bimba compiuto sette anni. Dalla voce sembra giovane, gentile, disponibile. E così è: al primo incontro siamo andati noi genitori insieme a nostra figlia. Mentre noi firmavamo cose burocratiche, lei si è rivolta a Matilde chiedendole se volesse fare un disegno, e lei ha accettato. I modi dolci e pacati della dottoressa ci hanno rassicurato sulla qualità della relazione che si sarebbe instaurata con nostra figlia, e anche con noi. Impressione distante anni luce dall'impatto avuto con quella neuropsichiatra infantile che ci capitò quando all'inizio ci rivolgemmo al servizio, come già descritto qui. Terminate le procedure formali, la dottoressa - a Matilde avevo spiegato che saremmo andati da una signora per avere consigli sulla sua situazione di difficoltà nel far uscire, a volte, le parole - ci ha fatto accomodare fuori nella sala d'attesa, rimanendo da sola con la bimba in quel piccolo, quasi minuscolo, studio. Mentre io e il papà svolgiamo il compito appena assegnatoci - la compilazione di un questionario su alcune caratteristiche comportamentali osservate sulla bambina - ci chiediamo come starà andando l'incontro là dentro. Quando veniamo richiamati nello studio, troviamo Matilde sorridente, seduta dove era prima, ovvero di fronte alla dottoressa, e sulla scrivania un foglio con alcune parole colorate, scritte in stampatello con la sua calligrafia. "Abbiamo fatto un piccolo lavoro sulle emozioni" ci dice la neuropsichiatra. Poi, rivolgendosi a Matilde: "Adesso vorrei che per ognuna di queste parole mi dicessi - puoi scegliere se dirlo all'orecchio di mamma o a quello di papà - quando succede che ti senti così. Ad esempio: quand'è che Matilde si sente felice?". Matilde, dopo un attimo di esitazione, si avvicina al mio orecchio e sussurra: "Quando il papà mi compra le figurine delle LOL." Io ripeto a voce alta le sue esatte parole, e la dottoressa le annota sotto alla sua prima parola: Felicità. Sul foglio sono scritte altre quattro emozioni, e il gioco va avanti allo stesso modo per tutte le voci annotate. Matilde dà quel tipo di risposte che ci si aspetterebbero da una qualsiasi bambina della sua età, e alcune ci strappano un sorriso. Per la Tristezza ha risposto: quando mi fa male l'orecchio. Con Disgusto ha detto: quando mangio il kiwi. Alla voce Rabbia ha specificato: quando mia sorella mi disturba. Infine, con l'emozione della Paura ha risposto: quando devo andare in camera mia da sola al buio.
I successivi incontri - la dottoressa ci ha proposto finalmente un percorso di sedute a cadenza mensile - sono avvolti dal mistero, perché si svolgono a tu per tu tra lei e la neuropsichiatra. Abbiamo provato a interrogare Matilde, incuriositi, ma lei non lascia trapelare nulla: è un segreto, ci dice. Mi ha concesso soltanto di sapere che fa dei disegni, e fanno attività con alcuni libri. Scopriremo di più nelle prossime puntate. L'importante è che la stiamo vedendo serena nell'affrontare questa novità.

DANZA
Non ne avevo ancora accennato, comunque a settembre Matilde - e anche la sorellina, nel corso propedeutico per i piccoli - ha iniziato a frequentare un corso di danza moderna in una nuova scuola, abbandonando la precedente associazione dove aveva ballato per un paio d'anni. Ha scelto lei stessa di voler iniziare questa esperienza. Un piccolo salto nel buio, rispetto a quello che già conosceva. Non era così scontato che potesse affrontarlo. Alla prima lezione di prova le è piaciuto tutto: la nuova insegnante, le nuove compagne, la nuova palestra, le nuove musiche, i nuovi movimenti. E così l'abbiamo iscritta volentieri, sebbene l'impegno delle ore di allenamento fosse maggiore.
Non ho voluto parlare subito di mutismo selettivo all'insegnante di danza: mi sembrava di andare ad imprimere un'etichetta - non so come dire - eccessivamente medicalizzata, di cui in quel contesto si poteva fare a meno. Errore. L'ho capito dopo. Lì per lì, comunque, in maniera anche frettolosa - perché nell'andirivieni degli spogliatoi si fa fatica a trovare un angolo tranquillo per parlarsi - spiegai all'insegnante di danza la tendenza di Matilde a intimidirsi nelle situazioni nuove, ad avere i suoi tempi da rispettare nelle relazioni, e accennai al fatto che comunque non c'era da forzarla, ma soltanto aspettare che fosse lei ad aprirsi. Mi sembrava, in questo modo, di poter lasciare a Matilde un'occasione aperta, la libertà di provare a spiccare il suo volo verbale.
Invece, nel mio non detto, c'erano tutti gli spifferi dell'incompleta spiegazione, della parziale realtà, dei tasselli mancanti per la comprensione. Così, dopo un paio di mesi, mi decisi a parlare chiaramente all'insegnante. Nella lunga telefonata mi accorsi di quanta sintonia avevo scoperto. Ci siamo capite al volo: mamma anche lei di un bambino poco più grande di Matilde, che ha qualche difficoltà col linguaggio. E' stato bello rendersi conto di questa vicinanza, di questa solidarietà. Da quel momento sento che il rapporto con l'insegnante è migliorato: c'è più fiducia, c'è più collaborazione. Anche lei si rapporta a Matilde in maniera più consapevole: la protegge quando le compagne di danza insistono, in buona fede ma con eccessiva pressione, nel volerla sentir parlare; la loda e la corregge, spronandola in maniera positiva, e spiegandole che la correzione non è una nota negativa ma uno stimolo a migliorarsi; la consola quando la vede smarrita e in lacrime nell'atrio, perché la mamma ritarda a tornare a prenderla al termine della lezione (è successo una volta, mea culpa; ma avere imprevisti da dover gestire credo sia naturale e sano, ci si deve piano piano abituare alle cose della vita, comprese queste).
A proposito di imprevisti, ne è successo uno molto strano il mese scorso a teatro, dove era in scena lo spettacolo di tutta la scuola di danza dedicato a un musical anni venti e alla figura della donna. Era la seconda volta che eravamo a teatro, dopo l'esibizione di Natale. Stava ballando proprio il gruppo di Matilde, quando, a pochi secondi dal termine del balletto, piombiamo nel buio e nel silenzio. Un blackout improvviso. Tutti siamo sorpresi e disorientati. Ci sono voluti quaranta minuti buoni per capire il disguido e risolverlo, però a quel punto l'ora si era fatta troppo tarda per proseguire con il resto dello spettacolo, e così tutto era stato rimandato - e l'intero spettacolo ripetuto poche settimane dopo. In quei frangenti, mentre si era creato sul palco tra le compagne di Matilde un clima da ricreazione, allegro, confuso e festaiolo, lei la vedevo invece piuttosto smarrita e bloccata, seminascosta tra le quinte, non sapendo bene cosa fare. Gli stessi maestri di danza erano increduli e impegnati a capire come gestire l'inghippo. Non era semplice lasciarsi andare a una situazione improvvisa e imprevista. Ma è servito anche questo, ne sono sicura. Rientrando a casa, nel commentare con Matilde la serata, ho ribadito: "Non importa, Mati: più balliamo più ci divertiamo!".

SCUOLA
La seconda elementare è iniziata insieme ad una nuova insegnante di italiano, o meglio, è tornata alla sua cattedra dopo un anno di maternità l'insegnante di ruolo. Come Adelaide in prima, anche la titolare Annalina è molto gentile e disponibile. Davvero, non potevamo chiedere di meglio, e questo è già molto. Al colloquio di novembre, mi mostrano già il nuovo PDP (Piano Didattico Personalizzato) che come l'anno precedente contiene gli strumenti compensativi per sopperire all'esposizione orale in classe, sostituita anche quest'anno con le videoregistrazioni dei compiti di lettura, poesie e tabelline, fatte a casa e inviate via cellulare alle insegnanti. Matilde era già abituata a farle e, pur cambiando insegnante, ha continuato allo stesso modo senza problemi. In quell'occasione, al primo incontro con le insegnanti, ho consegnato loro anche la nuova Guida di AIMuSe, "Momentaneamente Silenziosi", che hanno ricevuto volentieri.
Matilde è sempre serena, ben inserita, con un buon rendimento. Miglioramenti nei mesi trascorsi ce ne sono stati. Primo: ha allargato il suo cerchio di amicizie, inteso come amiche con cui parla all'orecchio - oltre a Giulia, le maestre mi riferiscono che l'hanno sentita sia con Alice, che con Emilia. Secondo: piange di meno in classe, non che piangesse spesso, ma mentre prima la sua reazione di fronte all'errore era quella delle lacrime, ad esempio quando si accorgeva di aver sbagliato una consegna, adesso succede sporadicamente, e anche se la motivazione data da Matilde è ufficialmente il volere la mamma, le insegnanti ormai capiscono che la causa del pianto è la frustrazione, o delusione, di fronte allo sbaglio. Terzo: partecipa sempre di più, alza la mano quando vuole intervenire - poi si alza per andare alla lavagna a scrivere il suo contributo - e le maestre, soprattutto l'insegnante di matematica, Filomena, vedono che ha proprio voglia di interagire, e che "non è una bambina repressa" come testualmente mi ha riferito Filomena.
Tutta la parte dell'ansia, infatti, Matilde non ce l'ha. La nostra psicologa, che incontra un paio di volte all'anno le insegnanti, ci ha confermato che il lavoro da fare è piuttosto sull'ipercontrollo, sul far calare la sua eccessiva attenzione a mantenere il freno tirato, anche sfruttando momenti apparentemente non strutturati, non programmati, che la colgano alla sprovvista, così da disinnescare il suo meccanismo di protezione che è il silenzio. In effetti, in una conversazione che ho avuto recentemente con Matilde, mi ha fatto capire quanto il focus del suo disagio sia spostato su un altro elemento, che non è la paura. Quella sera stavamo parlando - lei mi stava parlando - di un gioco dei Lego che desidera molto, allora ho colto la palla al balzo per provare a negoziare, dicendole: "Vediamo a giugno, Mati, quando finisce la scuola: se continuerai ad impegnarti nelle materie, ad avere bei voti, e anche a fare quella cosa che che non ti riesce ancora bene, parlare con le maestre". Sono consapevole che il sistema di premi-e-punizioni non è consigliato, perché tende a minare ulteriormente l'autostima dei bambini con mutismo selettivo, ma visto che insisteva molto con quel giocattolo, ho voluto provare a forzare per vedere cosa succede. Sull'onda del discorso ho quindi provato a chiederle:
"Cos'è che trovi difficile, Mati? Cosa senti? Paura? Vergogna?"
"Vergogna."
"E pensi che riusciresti a dire qualche parola all'orecchio delle maestre in classe con gli altri compagni, oppure quando sei da sola tu con la maestra?"
"Da sola con la maestra."
"E con quale maestra pensi che potresti iniziare a provare?"
"Filomena."
Le ho fatto capire che non deve fare tutto subito, ma un poco alla volta, un piccolo tentativo, magari. Poi, se si trova bene nel fare quella prima prova, può continuare, sempre facendo un passo dopo l'altro, piano piano. Vedevo che mi ascoltava con attenzione, e sembrava che si stesse figurando l'idea. Le ho fatto capire che in questo modo le insegnanti possono sapere meglio le sue risposte a voce, sapere se hanno spiegato bene, o se c'è qualcosa che lei magari non ha capito e che occorre che la maestra ripeta. Insomma, ho cercato con queste parole di farle un po' capire e immaginare di poterlo fare.
Ma lei ha dichiarato chiaramente il suo intento. O perlomeno quello che potrebbe essere il suo desiderio. O forse è solo un procrastinare un impegno che per il momento non si sente ancora pronta ad affrontare. Un giorno, parlando col papà, che le aveva chiesto appunto se lei se la sentisse di parlare con le maestre, Matilde rispose: "Lo faccio in terza."
Terza elementare: la promessa.

AMICHE
Se la guardi alle feste di compleanno, o nel cortile dove ci fermiamo dopo la scuola noi mamme col gruppo di bimbe, oppure quando invitiamo amiche a casa nostra o lei è invitata a casa loro, non si direbbe che sia una bambina con problemi d'ansia. Anzi. Gioca, viene coinvolta, si butta nella mischia durante i balli di gruppo, corre e si scatena (le è sempre piaciuto il gioco adrenalinico) senza mai risparmiarsi. Certo, tutto senza parole. Ma a volte no. A volte è successo.
Ci siamo accorti però che va spronata. E' come se, dicendole "dai, Mati, non vedi che ci siamo solo noi?", lei ricevesse una sorta di autorizzazione, oppure qualcosa che le dà lo stimolo per rendersi conto che effettivamente può.
Un giorno stavano giocando a "strega comanda colore" nel cortile davanti a scuola, nel punto dove noi genitori facciamo comunella e i bimbi trovano una valvola di sfogo dopo essere stati otto ore in classe. C'era il papà, la sorellina Michela, e Matilde insieme a Giulia. Ognuno diceva il colore, e quando toccava a lei lo sussurrava all'orecchio della sua amica. Al che il papà le dice la frase di incoraggiamento, e da quel momento Mati ha cominciato a dire il colore a voce udibile.
E' capitato poi che, una seconda volta, giocando con un gruppo di amiche un po' più numeroso, Matilde avesse comunque iniziato a pronunciare normalmente il nome del colore da trovare, a tono un po' basso ma comunque a voce, senza usare l'espediente del sussurro all'orecchio; se non che, a un certo punto, una di queste sue compagne, Aurora, frequentatrice meno assidua del nostro ritrovo post scuola, meravigliata dalla novità, è corsa dalla sua mamma ad annunciarle "Mamma, vieni a sentire! Matilde parla!" smorzando immediatamente, come si può ben immaginare, la sua iniziativa.
Devo dire che le amiche tendono, in buona fede certamente, a proteggerla molto. A chiederle le cose proponendole sempre la modalità di risposta gestuale, con il dito su che significa una cosa e il dito giù che significa l'altra. A cercare di intervenire al posto suo quando le rivolgono le domande o quando la maestra le passa il turno di parola. Perché Matilde, sì, alza la mano e chiede così di intervenire. Poi, ecco, va alla lavagna a scrivere il suo contributo, però intanto partecipa.
Però la sua possibilità di fare un tentativo vocale, magari avvicinandosi all'orecchio della maestra, come varie volte viene spronata a fare, risulta, come dire, inibito dall'intervento delle amiche. Questa eccessiva protezione potrebbe rivelarsi controproducente, sebbene sia un atteggiamento da vedere di per sé come benevolo. Occorre invece che Matilde venga stimolata, lasciandola provare.
Ormai tocca a lei, adesso.

SORELLINA
Il rapporto con la sorella Michela di tre anni e mezzo è in generale buono: sono affezionate, si cercano, giocano spesso insieme al gioco simbolico oppure ai giochi in tavola, condividono molto. Certo, Matilde, a volte, dice che sarebbe bello non avere una sorella, mentre quella invece le fa le moine tutta affettuosa dicendole tu sei la mia sorellina, ti dò un bacino!
Michela sta crescendo, e crescendo si accorge di quello che fa la sorella, dei suoi comportamenti, e anche del suo silenzio che si manifesta in certi contesti, ovviamente non quello scolastico, perché la piccola non sa come sia Matilde in classe, ma a casa dalla nonna paterna sì (Matilde aveva smesso di parlare coi nonni paterni più di due anni fa, non abbiamo mai saputo il motivo; poi morì il nonno paterno ed è rimasta solo la nonna) o in presenza degli zii materni.
Ci sono stati due episodi in cui Michela ha rivolto a noi adulti la famosa domanda sul perché. La prima volta era a casa di mio padre, io ero uscita con la mia amica a cena - una delle poche volte che riesco a dedicare tempo alle uscite - e le bimbe erano rimaste con la zia Patty, sorella di mia mamma. Lì, in bagno, mentre si stavano preparando per la notte, la piccola chiede alla zia: "Ma cos'ha fatto la Mati?". Matilde era già andata in camera. La zia, pensando si riferisse a quello che la nipote aveva fatto poco prima in bagno, ha risposto: "Ma niente, Michi, ha solo fatto la pipì!". Non era quello, però, l'argomento che intendeva, e infatti ha replicato: "No! Perchè Matilde non parla?". Al che, presa in contropiede, la zia ha abbozzato la risposta che tutti noi adulti abbiamo imparato a dare quando ci viene rivolta la fatidica domanda. Ascoltata la spiegazione, che a volte capita che la voce faccia fatica a uscire ma che poi quando se la sente riesce perfettamente a parlare eccetera eccetera, Michela ha sentenziato: "Io ce l'ho la voce!" quasi come a volersi differenziare, o comunque ribadire uno stato di fatto.
La seconda volta Michela era con me, in casa nostra, mentre le stavo riepilogando l'organizzazione di quella giornata, in cui ero impegnata in un incontro referenti A.I.Mu.Se., per cui le bambine sarebbero andate col papà dalla nonna paterna e noi ci saremmo riviste il giorno dopo. "Allora, Michi, il papà vi accompagna tu e Mati dalla nonna, e poi noi ci vediamo domani". "Ma Matilde dalla nonna non parla!". Lo sa. Sì. Se n'è accorta. Mica è tonta. E quindi cosa le dico? Le dico quello che dico ogni volta. Correggo la versione: dico che è vero, ma smentisco, non sempre lo fa, solo a volte, quando non se la sente, eccetera eccetera. L'avrò convinta? Non mi sembra molto. Allora mi viene un'idea. Glielo spiego con "La Fragolina di Nicholas", la storiella raccontata da Daniela Conti per spiegare il mutismo selettivo ai bambini, che è anche il titolo appunto del suo libro. E così comincio a dirle: "Sai, è come se Mati, a volte, avesse una specie di fragolina, qui, nella gola, che non fa uscire le parole...". Michela mi guarda col sopracciglio alzato e mi fa: "Una fragolina???" col tono di chi chiede machestaiaddì? Mamma, tu non me la racconti giusta, dì la verità! L'avrò impressionata? Dopo ho cercato di recuperare, spiegando meglio, ma intanto chissà che idea si sarà fatta.
Parlandone con la psicologa che ormai da due anni e mezzo ci segue, il consiglio è quello di rispondere a Michela e alla sua domanda sul perché, con la cosa più ovvia che a noi non era venuta in mente, dicendole: chiedilo a Matilde. Ormai la piccola ha un'età in cui la curiosità è il motore della crescita, quindi è giusto che possa rivolgere alla sorella maggiore le sue domande, e Matilde a sua volta deve essere consapevole - noi glielo dobbiamo dire - che è già in grado di fornire risposte alle curiosità della sorellina. 
Sono convinta che Michela possa essere sempre più una risorsa per Matilde, in questo percorso verso la voce. In che modo, è ancora da vedere, ma si sta pian piano dimostrando un potenziale pungolo per non permettere troppo a sua sorella di adagiarsi nella sua comfort zone silenziosa.


Come dicevo, Matilde ha perso una nonna speciale, una nonna con cui aveva un rapporto davvero stretto e soprattutto denso di relazione, di complicità, di affetto e voglia di viversi. E, aspetto ulteriore ma non da meno, ha perso una persona con cui parlava. Non siamo tanti, in questa stretta cerchia di famigliari che conoscono la versione "chiacchierina" di Matilde. Siamo rimasti in quattro: mamma, papà, sorella e nonno paterno. 
Probabilmente dispiace più a me, che a mia figlia. Ma è comprensibile.
Eppure anche da questo, da eventi spiacevoli, o semplicemente intensi, si può imparare. 
E un libro che può insegnare, o meglio, che può far riflettere, è un librettino snello e agile, che contiene pillole di saggezza e immagini che spiegano ancor più delle parole. Il protagonista è un pulcino, e il titolo è Lezioni di Volo
La nostra psicologa ce lo ha suggerito, per proporre a Matilde di leggerlo insieme e sceglierne una frase, quella che le piace di più, per poi scriverla su un foglio e illustrarla.
"Spesso troviamo un amico quando meno ce lo aspettiamo" è la frase scelta da lei.
"A volte cadere ci aiuta a liberarci del superfluo" è invece la mia.