sabato 2 dicembre 2017

Amore e comprensione

Ho capito.
Ho finalmente capito. Perché l'ho provato.
E' proprio così: puoi rifletterci anche molto, analizzare, studiare, anche in estrema profondità. Ma finché non lo provi, finché non lo senti dentro, finché non lo vivi, la comprensione resta qualcosa di incompiuto, di incompleto.

Avevo parlato qui della paura di sbagliare. 
Di come i disturbi d'ansia, tra cui il mutismo selettivo, affondino le loro radici nella paura legata a una particolare situazione, una prestazione attesa o richiesta, una prova da superare.  
In generale, la paura non è sbagliata, anzi è un prezioso meccanismo che ci fa allertare di fronte ai pericoli e agli imprevisti, e ci fa prendere le decisioni con maggiore prudenza, senza rischiare di andare incontro a conseguenze negative.
Ma in questi casi la paura non è sana: è una paura paralizzante. Una paura che ti congela, che ti fa sentire completamente bloccata.
Mi sono sentita esattamente così, io, sul luogo di lavoro. L'ennesimo nuovo lavoro, che quest'anno sto imparando a fare. Ne ho già cambiati tre in otto mesi, e alla fatica di ricominciare daccapo in un nuovo ambiente, con altri colleghi e altre mansioni, stavolta si aggiungono ulteriori elementi di difficoltà: la mia totale inesperienza nel ruolo, abbinata all'insufficiente formazione ricevuta e all'assenza di affiancamento precedente. 
I primi giorni di lavoro mi sentivo quindi come fossi salita su un treno in corsa che dovevo guidare senza conoscere i comandi. Ovviamente, sbagliando molto spesso. La possibilità di commettere errori l'avevo messa in conto, in fondo è qualcosa di fisiologico nei primi tempi, e come previsto si è verificata. 
Quello che non potevo mettere sul piatto della bilancia era il fatto di trovarmi di fronte ai modi spesso ruvidi del capo. Questa modalità, questo atteggiamento, su di me ha un effetto negativo: mi mette in estrema soggezione, mi fa andare in ansia e mi blocca, per la paura di sbagliare. Così si innesca inevitabilmente un corto circuito: quando si tratta di qualcosa sulla quale sono incerta - ma persino nelle cose che so fare - il fatto di farla sotto la sua osservazione, anziché rassicurarmi, mi manda in confusione, e la paura di sbagliare mi fa sbagliare davvero. 
Quindi, la mia performance risulta sempre negativa. 
Non sto a raccontare le serate in cui rientravo a casa dal lavoro in lacrime. Frustrata dalla sensazione di sentirmi sbagliata, inadeguata, mortificata. Pensavo di non riuscire ad andare avanti così. Ero veramente demoralizzata e stavo valutando la possibilità di abbandonare. 
Poi, la svolta.
E' bastato lo scambio, il confronto coi colleghi, a farmi capire che non era così, che non ero io ad essere sbagliata, che la cosa andava rivista da un'altra prospettiva. 
Allora mi sono tranquillizzata, e mi sono detta che posso farcela.
E ho capito una cosa fondamentale: è tutta una questione di tempo.
Devo solo darmi il tempo necessario per conoscere e affrontare nel giusto modo la situazione.
Questa esperienza mi ha fatto riflettere sul mutismo selettivo: allora è così che ci si sente quando l'ansia blocca tutto. Un vero sconvolgimento, a tal punto che in quei momenti stentavo anche io a riconoscermi. Io non sono così. Non sono quella
Perché succede così? Perché ci si blocca? 
Non lo so. Non lo so io, che sono adulta. 
Figuriamoci un bambino con mutismo selettivo: sente solamente il cuore palpitare, un forte disagio, la pancina in subbuglio, ma sicuramente non ne sa il motivo. E allora la fatidica domanda "Perchè non parli?" non può (ancora) trovare risposta, da parte sua. Ed ecco l'importanza di concedersi tempo. Tempo per entrare in relazione. Per costruire una relazione. Un clima sereno e rassicurante. Non oppressivo, non giudicante. 
Allora ringrazio questa opportunità. Mi è davvero servita, perché viverla mi ha permesso non solo di provare quella sensazione, di comprenderla veramente, ma anche di riflettere su quanto sia importante il ruolo che gioca il tempo. Per cui il vero, grande consiglio è quello di rispettare i tempi di ciascuno, e di cercare la chiave emotiva per entrare in relazione, nonostante il silenzio. 

Concludo con il richiamo al titolo di questo post.
Amare, amare i propri figli, significa comprendere i loro stati d'animo, le loro paure, le loro sensazioni. Senza volerle negare con la classica frase di rassicurazione "non preoccuparti, non c'è nulla di cui aver paura".
Qualcosa che fa paura c'è eccome, e quel qualcosa va accettato, compreso, normalizzato e superato.
Solo così si può affrontare e risolvere la questione. 
Non potevo che intitolarlo così, dopo aver ritrovato, proprio in questi giorni, alcuni miei vecchi quaderni di scuola, in particolare quello di materia alternativa
A nove anni, su quel quaderno, scrissi così:

"Secondo me l'amore e la comprensione sono due cose che si possono unire insieme perché se a una persona gli vuoi bene ed è in un momento di difficoltà riesci a capirla.
I miei genitori mi dimostrano amore e comprensione anche quando mi sgridano, perché secondo me lo fanno per il mio bene".

Ora ho una figlia a cui voglio più che bene ed è in un momento di difficoltà, e adesso riesco davvero a capirla.
In fondo, lo sapevo già da tempo.




giovedì 9 novembre 2017

Parole preziose

Fissare fatti, riflessioni, spunti ed emozionivissuti in questo nostro percorso, è il motivo per cui scrivo.
Condensare in poche righe quello che è successo nelle giornate appena trascorse è meno facile di quel che sembri, ma ci proverò. In due manches.

Iniziamo dalla notizia clou: Matilde ha iniziato a parlare nell'orecchio di una sua compagna di classe.
Ad un mese dall'inizio delle elementari, è già riuscita a creare un legame speciale con una delle compagne di classe che non fanno parte del gruppetto di bambini che erano con lei alla materna. 
Nonostante il suo completo silenzio, Matilde - ne ho conferma parlando sia con le maestre che con le altre mamme - è ben inserita nel gruppo e apprezzata dai compagni. 
Nessun cenno, in alcuna forma, al mutismo selettivo in classe, ed è sorprendente come anche per i compagni stessi questa sua difficoltà non rappresenti evidentemente né una diversità né un problema, almeno per come è adesso la situazione.
Ecco, due settimane fa, per la prima volta Matilde ha parlato nell'orecchio di Giulia, e l'amica era contentissima. Il papà indagatore, in maniera fintamente disinteressata, prova a chiederle che cosa abbia detto all'orecchio della compagna. Lei resta vaga e misteriosa, dice che si tratta di un segreto, che non lo deve sapere nessuno.  
Alla sera, rientro dal lavoro facendo finta di nulla, voglio rispettare il suo riserbo e attendere che sia lei a parlarmene o approfittare di quando l'argomento verrà accennato. 
Credo che lo stimolo a parlare all'amica nell'orecchio sia scaturito dalla conversazione che io e Mati avevamo avuto la sera precedente. Lei voleva inviare un messaggio a Giulia tramite il mio cellulare, allora le proposi di dirle un bel "Ciao Giulia, sono Matilde!" ma si rifiutava. Così rilanciai con "almeno un Ciao" insieme a un bacino, visto che ancora non ci eravamo presentate via telefono a Giulia, mentre con altre sue amiche ci messaggiamo da più tempo. Niente da fare: l'unica concessione di Matilde sarebbe stata solo uno schiocco di bacio. Poi, guardando l'orario, quella sera era davvero troppo tardi, allora chiusi l'argomento dicendo "magari lo facciamo domani, perchè adesso la tua amica starà già dormendo". 
Molto probabilmente Matilde ci ha pensato su, e può essere che proprio in seguito a questo abbia deciso di provarci.
Sono davvero contenta per lei, è un primo passo molto importante.
Quella che ci è rimasta male è stata proprio Giulia, quando tre giorni dopo all'uscita da scuola ha visto che Matilde era stata invitata da Amira, sua storica amica della materna, per un pomeriggio a casa sua. L'amica "tradita" ha pianto per tutto il tragitto, mentre le altre due si incamminavano a piedi. 
Cose che càpitano, me le ricordo bene anche io, quando le ho vissute da piccola. Rimedieremo presto con un invito per lei a casa da noi.

Versante docenti. 
Sempre a un mese dall'inizio della scuola, ho avuto il primo colloquio con le insegnanti, conoscendo finalmente quella di italiano, che era subentrata a lezioni già avviate.
Siamo davvero fortunati: quello che ho trovato è estremamente positivo, due persone molto disponibili, comprensive e dolci. 
Abbiamo approfondito le notizie su Matilde e sul suo mutismo selettivo. E parlato del PDP, il Piano Didattico Personalizzato, un documento che la scuola ha facoltà di attivare in tutti quei casi - in cui rientra anche il nostro - in cui si riscontra un BES, ovvero un bisogno educativo speciale. Lo si redige in qualsiasi momento dell'anno scolastico, insieme alla famiglia, che poi lo firmerà, individuando con l'aiuto degli insegnanti, e di eventuali specialisti che conoscono il caso, tutte quelle strategie didattiche necessarie ad affrontare al meglio il problema. Per noi è ancora presto in questa prima fase, le insegnanti si prendono un po' di tempo per conoscere meglio Matilde, e poi siamo ai primi passi dell'inizio delle elementari, quindi ci sarà modo di riprendere il discorso più avanti. 
Ho consegnato loro anche il Kit ècole, la guida pratica che A.I.Mu.Se. mette a disposizione per genitori e insegnanti, scaricabile direttamente e gratuitamente dal sito dell'Associazione. Contiene vere e proprie schede semplici di attività didattiche e ludiche, che si possono fare in classe coinvolgendo tutti i bambini, passando progressivamente dall'utilizzo di suoni prodotti con la voce, fino alla verbalizzazione vera e propria. 
Spero che possano mettere in atto queste piccole strategie di supporto.
Infine ho proposto alle insegnanti un suggerimento della psicologa, che ormai da un anno ci segue: far fare a Matilde un filmato della sua aula e degli spazi scolastici che vive quotidianamente, in un momento in cui si possa accedere all'edificio in orario extrascolastico, così che lei, insieme a noi genitori, possa familiarizzare con l'ambiente e sentirsi più sicura e serena, con l'obiettivo di favorire la comparsa della sua voce in quel contesto. 
Le insegnanti si sono mostrate entusiaste e disponibili e, seguendo le loro indicazioni, sono andata a parlarne con la vicepreside, che avevo già conosciuto l'anno scorso, quando mi ero presentata in qualità di referente regionale A.I.Mu.Se. per proporre l'organizzazione di incontri formativi sul tema, e lei, riconoscendomi immediatamente, mi ha dato piena disponibilità per concordare un giorno in cui poter realizzare questo piccolo progetto. 
A Matilde ho spiegato - questo è il pretesto ufficiale - che potremo andare un giorno in cui non c'è lezione a fare un video per i nonni, che non hanno mai visitato l'interno della scuola, così potrà mostrare loro e descrivere, attraverso il suo piccolo "reportage", il percorso che fa tutti i giorni per andare in aula, e poi in mensa, e anche in palestra. 
Tra una decina di giorni ci proveremo, e scriverò qui come sarà andata. 

Infine, i compiti.
Eh sì, ci tocca. Siamo appena entrati nel lungo tunnel dei compiti e delle verifiche. 
Ma per adesso, ci va ancora bene. Il massimo della difficoltà è una breve poesia da imparare a memoria. 
Che vuoi che sia. 
Mmmhhh. Poesia hai detto?
Come facciamo, noi? Come fa, Matilde?
Non tanto a impararla, quanto a ripeterla in classe.
Ci sono: faremo la videoregistrazione! 
In un mese ne hanno già assegnate tre: una sui nonni, per la loro festa, una abbastanza lunga sui cinque sensi, per il compito di scienze, e una sul fantasma golosone, per Halloween. Ripeterla e registrarla non è stato sempre così semplice per Matilde, soprattutto con quella più articolata sui cinque sensi, ma alla fine ce l'ha comunque fatta. 
Per quel giorno, ho avvisato l'insegnante scrivendo sul quadernino delle comunicazioni che Matilde aveva svolto il compito preparando una videoregistrazione in cui recita la poesia. E che, ai fini della valutazione, sarei stata disponibile a inviarglielo. 
L'insegnante di italiano - che fino allora non avevo ancora avuto modo di conoscere - mi risponde, sempre per iscritto, ringraziandomi per aver condiviso con lei le notizie su Matilde - le avevo accennato alla situazione, non sapendo se ne avesse già parlato con la collega di matematica, informata in precedenza - e dicendomi che non avrebbe avuto bisogno delle videoregistrazioni per verificare Matilde: "è brava, si vede già".
Qualche giorno dopo, al colloquio con le insegnanti - di cui ho parlato sopra - propongo di mostrare il video della poesia. Entrambe sono state contente di sentirla e colpite dalle sue capacità linguisticheCosa ovvia e scontata, per me. Per noi. Noi quattro. Mamma, papà, nonno e nonna. Che conversiamo con lei, sempre. Da sempre.
La psicologa ci ha detto che abbiamo fatto bene, a mostrare il video. Che era necessario, per le maestre. Perché un genitore che riferisce una problematica, la sua versione del problema, in sostanza, si tratta della sua parola, certo, ma fino a che punto attendibile, per le insegnanti? Quanto esagerata? O quanto sminuita? Un genitore a volte può avere una percezione del problema non proporzionata rispetto alla realtà. Ingigantita o sottovalutata. 
In questo modo, loro hanno potuto verificare coi propri occhi - o meglio, orecchie - le parole di Matilde. La sua viva voce.
La psicologa ci ha anche consigliato di suggerire alle insegnanti di non "saltarla" nell'eventuale "interrogazione" sulla poesia. Di non dare per scontato che non la dirà, dispensandola così dalla richiesta di recitarla. Come per qualsiasi altro alunno, anche a Matilde potrebbe capitare di essere interpellata dalla maestra. In questo modo, le si lascia comunque la possibilità di scegliere se provarci, e dirla, oppure no, se non se la sente. 
Tutto questo l'ho diligentemente annotato sul famoso quadernino per comunicare con le insegnanti. "Ok, sarà fatto!" mi scrivono. 
Di fatto, però, non è successo.
"Matilde, ti hanno chiesto oggi la poesia?"
"No."
"A chi l'hanno chiesta?"
"Non mi ricordo."
Va bene, pazienza. 
Alla terza poesia assegnata come compito, puntualizzo nuovamente sul quadernino che Matilde l'ha svolto preparando un altro video.
Stavolta, una sorpresa: l'insegnante di italiano mi risponde che sì, se ci fa piacere possiamo inviarglielo al numero di telefono che scrive accanto. 
A me fa piacere eccome, questa ulteriore dimostrazione di disponibilità, per la quale non smetterò di ringraziarla. Così, il giorno dopo, sabato scorso, le scrivo subito un messaggio sul telefono, annunciando l'invio del video. 
Poi, immediatamente mi blocco. 
Mi viene in mente all'improvviso che forse no, devo prima chiedere il permesso a Matilde. Voglio fare le cose nel modo più giusto, e chiedo allora il suo consenso. 
"Matilde, che ne dici se inviamo alla maestra il video della tua poesia?"
Lei non è d'accordo. A dire il vero non me l'aspettavo, non avevo previsto questo suo veto
Lì per lì non insisto, ma mi ripropongo di provarci più tardi.
Alla sera, rientrati dal pranzo coi parenti, torno sull'argomento. E non mollo, vado a fondo. Voglio sapere il motivo
Dopo mezz'ora di tentativi - perché ci ho messo mezz'ora a cavarle fuori le parole con le pinze, ma anche con estrema delicatezza e cautela, non sapendo come potesse prenderla - ecco, dopo mezz'ora, scopro finalmente il perché del suo rifiuto: 
"Perché non voglio che la maestra mi senta."
Allora provo a rassicurarla, ripetendole più e più volte questo: "sai, Matilde, io ho parlato con la tua maestra, e lei sa che sei brava, ha visto che fai le schede e i lavori con impegno e bravura, sa che a volte la voce si nasconde ma che non ci sono problemi, per adesso va bene così, facciamo come abbiamo sempre fatto, e poi quando te la sentirai potrai parlare a scuola senza problemi, quindi stai tranquilla, che il compito della poesia era solo perché la maestra vuole insegnarvi a memorizzare le cose, è un allenamento della memoria che vi servirà tanto quando studierete le cose più avanti, e allora ha chiesto ai bimbi la poesia per vedere se avete tutti imparato a ricordarvela, e poi non devi preoccuparti perché l'hai detta benissimo e sei stata bravissima..."
Ce l'avrò fatta?
Tengo incrociate le dita e le chiedo: "Allora, Mati, possiamo inviare alla maestra il video della tua poesia?"
"Mmm. Oggi no. Domani no. Che ne dici, mamma, se gliela inviamo dopodomani?"
"D'accordo, aggiudicato per dopodomani. Dammi un cinque!"
All'insegnante il video l'ho mandato poco dopo, corredato dello spiegone di com'era andata la "trattativa" dopo il rifiuto del consenso. 
"Salve Chiara, 
grazie per avermi inviato il video, ammetto che sentirla per me è un'emozione.
Grazie anche per avermi spiegato tutto. 
Ho compreso bene la situazione e, nel rispetto di Matilde, riconfermo come già scritto sul quadernino che non ho bisogno di sentire la filastrocca per sapere quanto è brava.
Non vorrei mai sforzarla in questo, ma aiutarla nel superare i suoi timori. 
La mia porta comunque rimane aperta, Matilde può inviarmi i video quando vuole, anche "dopodomani" :-) .
Vi auguro una buona serata."
E con questo messaggio si preannunciano serate, ma soprattutto giornate, buonissime. 









venerdì 13 ottobre 2017

Intermezzo

Siamo nella cucina della casa di mia nonna - luogo della mia infanzia.
Matilde gioca tranquilla per conto suo. 
Non siamo da sole: c'è qualcun altro della famiglia, anche se non realizzo bene chi.
E poi c'è lei. 
Lella Costa. Proprio lei, la nota attrice, scrittrice e doppiatrice. Una voce calda e inconfondibile - la voce del racconto, della favola, una voce materna
Si rivolge a Matilde. Le sta dicendo delle cose. Anzi, le pone delle domande.
Matilde la guarda, ascolta quello che dice, osserva quello che fa. 
In silenzio.
Lella Costa continua con le domande, incalzante, senza attendere la risposta. 
Ad ogni nuova domanda, si sposta. Passo dopo passo, si avvicina alla porta della stanza, allontanandosi da Matilde. 
Non solo: ad ogni domanda, la sua voce si abbassa. E insieme alla voce si abbassa anche lei stessa, fisicamente. 
Mentre si allontana, Lella Costa parla sempre più sottovoce, e si piega sempre più in basso. Ormai è sulla soglia della porta, completamente accucciata, che continua a domandare come una eco lontana. 
Vedo Matilde che non sa più trattenersi, comincia a bisbigliare parole, e alla fine le dice, le pronuncia, quelle parole. 
Le risponde a voce alta! 
Le parla!
Sì, ho sentito perfettamente quella dolce vocina che conosco così bene!
Quella che conosciamo così in pochi, e che adesso risuona libera nell'aria!
Mi commuovo e, mentre sorrido emozionata, Matilde mi guarda, e vedo nei suoi occhi la felicità dell'avercela fatta. La soddisfazione di aver vinto in quel momento la sua sfida!
Di aver vinto la sua paura. 

Poi mi sveglio.
E mi sembra tutto così reale, che ci credo davvero.




domenica 24 settembre 2017

La scuola è promossa

Proprio così.
A una settimana dall'inizio delle elementari, il bilancio per Matilde è positivo.
Le piace molto. Le piace di più di quella prima. E' sempre entusiasta all'uscita, e ci racconta tutto. 
Beh, tutto tutto no. Nemmeno io probabilmente dicevo ogni cosa a mia madre.
Diciamo che si mette a parlare ininterrottamente. Quando esce, è un fiume di parole. Come diceva quella canzone.

"Allora, Matilde, com'è andata oggi?"
"E' andata benissimo!"
"Bene. Senti, ma la maestra come ti sembra?"
"Brava."
"E i tuoi compagni?"
"Bravi, tutti bravi."
"E c'è qualche compagno o compagna che ti piace?"
"La bambina che mangia sempre la frutta a merenda."
"Ah si? Che brava! E come si chiama?"
"Emilia."
"E com'è? Come ha i capelli?"
"Con la frangia, corti fin qui, neri".
"Ho capito. E dov'è seduta col suo banco, in aula?
"Davanti a me, ma un po' spostata in là."
"Ok. E quando fate merenda vi sedete vicine?"
"No..."

"Sai, mamma, che oggi abbiamo visto una cavalletta?"
"Davvero? E dove?"
"Nel cortile della scuola, quando siamo usciti."
"Ah, quando facevate l'intervallo?"
"Sì. E poi un bimbo si era avvicinato per prenderla, ma non era riuscito a prenderla!"
"Ah si?"
"Sì, e poi c'era anche una coccinella..."

L'allegra confusione del primo giorno. L'emozione, il ritrovo coi suoi vecchi compagni, le foto ricordo, il ritiro dei libri. In mezzo a tanti nuovi incontri, riconosci altre mamme, conosci nuovi compagni.
Una sola nota stonata: la bidella che aveva al primo anno di materna. Che aveva già dimostrato i suoi modi alquanto bruschi e indelicati.
Ci vede passare, ci riconosce, ci saluta. Ferma Matilde e le fa:
"Matildeee ciaooo! Ma non hai ancora imparato a parlare con me???"
Ecco. Nella calca della folla, faccio solo in tempo a fulminarla con lo sguardo, ma mi riprometto di parlarle. E così faccio, proprio il secondo giorno di scuola, appena dopo aver accompagnato mia figlia. La blocco e le dico l'essenziale. Di non insistere nel farla parlare, perché è peggio. Di lasciarla stare. Va subito sulla difensiva: ma io volevo soltanto che mi salutasse... ecco, appunto. No.
Glielo dico tranquilla e col sorriso, ma ferma e decisa. Il suo feedback mi fa capire che ha capito il messaggio.
Con alcune persone è davvero più efficace dire giusto due parole, il succo del discorso, piuttosto che intavolare una dissertazione sul mutismo selettivo. 
Questione di limiti. Anzi, di sensibilità.

La maestra Filomena, invece, ottima. Abbiamo già fissato un colloquio tra un paio di settimane, per confrontarci sull'andamento di questi primi giorni di scuola. Di conoscenza reciproca. E' anche disponibile a collaborare con la nostra psicologa, con cui abbiamo un incontro proprio domani.
Pian piano, prendiamo il ritmo.
La preparazione dello zaino la sera, la sveglia alle sette, la colazione e il brevissimo tragitto da casa a scuola.
I piccoli rituali. Prendendo spunto dalla pagina Facebook della Dr.ssa Anna Biavati-Smith, una valida logopedista pediatrica sardo-britannica, che si occupa nello specifico di mutismo selettivo e collabora con A.I.Mu.Se., ho messo in pratica un paio di suoi consigli per calmare l'ansia del rientro a scuola.
Ricavare un benessere positivo attraverso una stimolazione sensoriale: quella visiva (attraverso una foto di qualche caro o un'immagine di qualcosa di piacevole), quella olfattiva (attraverso un cartoncino sul quale attaccare pezzetti di carta o cotone profumati con aromi graditi), quella tattile (attraverso alcuni materiali più o meno lisci o ruvidi, morbidi o duri, piacevoli per il bambino da toccare).
E così ho proposto a Matilde di mettere nella tasca interna del suo zaino una foto di mamma e papà, in modo da averci sempre con lei.
Un altro piccolo suggerimento è quello di utilizzare un segnale fisico per far sentire la propria vicinanza e trasmettere sicurezza: mentre si cammina per mano, si può stringere tre volte la mano del proprio figlio, come a significare "ti" "voglio" "bene". Una sorta di codice segreto di affetto e calore.
E anche qui l'ho coinvolta in questo piccolo rituale, concordando con lei il gesto e il suo significato, e lo sto facendo ogni mattina mentre la accompagno a scuola. Mi piace.

Venerdì mattina, mentre ci stiamo mettendo le scarpe per uscire, Matilde mi dice:
"Mamma, ho un po' paura della scuola."
"Cos'è che ti fa paura?"
"Quando mi lasci a scuola."
"Ma ti ricordi che hai la foto di mamma e papà nello zaino? Così è come se fossimo sempre con te!"
"Mmm..."
"Anche nell'altra scuola, Mati, i genitori non c'erano in classe. Eravate solo voi bimbi e le maestre in aula. I genitori non stanno a scuola."
"Mmm..."
"E comunque, Mati, quando ci salutiamo all'ingresso e tu vai nella tua classe, io continuo a guardarti, e vedo che sei sempre bravissima."
Vedo che si è rasserenata. Stavolta ho indovinato. Questa risposta le è andata meglio.
Che cosa può nascondere, però, questa paura che ha cercato di esprimermi? Proveremo a sentire il parere della nostra terapeuta.

E allora via. Si riparte.
E' ricominciata anche danza. Lo stesso corso che faceva l'anno scorso.
Nelle giornate di prova, però, ha potuto provare anche il corso dei più grandi. E le piace di più, è stata pure bravissima.
Testa-spalla, baby, one, two, three.
Altro che tagliatelle della nonna Pina.
Adesso si fa sul serio.
:-)


martedì 12 settembre 2017

Aspettando il primo giorno

L'incertezza si va dissipando. 
La nebbia si va dissolvendo. 
Si vede sempre più nitido.

La riunione a scuola c'è stata pochi giorni fa. Abbiamo conosciuto una delle due maestre, quella di matematica/scienze/geografia/musica (mentre quella di italiano/storia/inglese sta per terminare la sua dolce attesa e andrà in maternità per quest'anno; l'avranno dalla seconda in poi).
La maestra si chiama Filomena, e quello che ci avevano detto su di lei lo abbiamo visto confermato: è molto gentile, dolce e disponibile. Ci hanno detto che è anche brava e giusta. Ci ha spiegato un po' tutte le regole su come funziona entrata, uscita e mensa, e dato la lista dei materiali da comprare. Alla fine della riunione le abbiamo chiesto di poterle parlare dieci minuti. 
Rimasti soli con lei, le abbiamo raccontato di Matilde: si è dimostrata molto comprensiva e collaborativa, e ci ha rassicurati sul fatto che la aiuterà. Ci ha anche raccontato che in classe con suo figlio, che fa la quinta proprio nella stessa scuola, c'è un ragazzino che ha la stessa difficoltà, e fa tutte le prove e le verifiche in forma scritta. La nostra classe, come le hanno già prospettato, sarà abbastanza vivace - ci riferisce la maestra. Speriamo non sia troppo problematica da gestire, e che la confusione non metta troppo a disagio Matilde. 
Insomma, incontro positivo. Almeno abbiamo dato un'anima e un corpo a questa entità misteriosa che era LA maestra. Per ora sono contenta. E aspettiamo di vedere chi sarà la sua collega, ancora sconosciuta, sebbene manchino pochissimi giorni all'inizio.
Tornata a casa ho raccontato a Matilde che siamo stati nella nuova scuola a conoscere la nuova maestra, e che abbiamo visto la sua classe, insieme ai genitori dei nuovi compagni. Non faceva domande ma mi seguiva. Le ho spiegato che avranno un giardino interno tutto per loro, da cui si accede direttamente dalle portefinestre della sua classe, dove durante l'intervallo potranno giocare tutti insieme. Mi sono raccomandata, come ci diceva la maestra, sulla regola del bagno, che funziona diversamente da come era all'asilo.
"Bisogna chiedere il permesso alla maestra alzando la mano" le ho detto, e le ho chiesto di farmi vedere come si fa. 
Quella sera, finita la cena, dopo che abbiamo giocato e parlato di altro, le dico:
"Allora, tra poco ci sarà il tuo compleanno, e poi, dopo qualche giorno, comincia la scuola nuova. Come ti senti? Sei felice?" 
"Sì, sono felice" mi ha risposto. 
Bene così, per ora. 
Mi sento più tranquilla anche io.

E così ci siamo goduti il compleanno dei sei anni.
Abbiamo preparato una festa a casa nostra, invitando alcuni amichetti: quattro compagni di asilo, due dei quali saranno in classe con lei anche alle elementari (Alice e Mattia) e tra i quali c'era anche la sua amica del cuore (Amira). E poi il cuginetto di nove anni, e la figlia di una mia cara amica. 
Il pomeriggio è trascorso in allegria, Matilde era contenta e ha sempre giocato insieme ai compagni. Abbiamo organizzato qualche gioco per coinvolgerli. Uno di questi me lo sono inventata: il maxi gioco dell'oca, coi bambini come pedine. Il percorso e gli imprevisti nelle varie caselle li ho disegnati io, mentre Matilde ha colorato i soggetti e le figure. E' stato un lavoro impegnativo, ma mi è piaciuto realizzarlo insieme a mia figlia. La vedevo entusiasta e partecipe. In questo modo, l'attesa del giorno desiderato diventava più divertente e meno noiosa. 
Tutto è andato benone, secondo le regole di ogni compleanno: giochi, torta, regali, saluti. 
Molti momenti della festa sono stati ovviamente immortalati, e alla sera mi ritrovo a scambiare foto e video con le mamme dei partecipanti. E, in mezzo ai messaggi, me ne arriva uno che mi scalda il cuore.
E' della mamma di Alice, sua ex e futura compagna di classe.
"Grazie a voi dell'invito, si sono divertiti un sacco, anche Matilde ho visto che era sempre a giocare! Alice ha saputo oggi che Matilde sarà con lei a scuola, era contenta e mi ha detto: così io e Mattia l'aiutiamo se fa fatica a dire qualcosa!"
Buon inizio a tutti.
:-)



mercoledì 30 agosto 2017

Come l'aria

Mi rendo conto che sono talmente presa dalla quotidianità, tra lavoro, famiglia e casa, che non riesco a ritagliarmi il tempo che vorrei invece dedicare a questo spazio.
Per questo, i prossimi post saranno dei brevi flash di pensiero.
Così, come delle rapide macchie di pittura gettate sulla tela dall'artista. 
Tutte insieme, alla fine, formeranno il quadro.

Voglio appiccicare qui qualche mio pensiero sparso.
Perché questo è soprattutto un mio diario. Nostro. Mio e suo.
Si avvicina la fine dell'estate, ancora una volta, la fine di questa estate. 
E si apre la prospettiva di settembre, un nuovo inizio, pieno della sua curiosità e dei suoi dubbi.
In questo stato d'animo - un misto tra entusiasmo e timore - mi fermo a pensare, faccio il punto della situazione, confrontandomi col papà. 
Sappiamo entrambi che il suo silenzio non è nulla di così grave, eppure sarà una difficoltà. Sappiamo benissimo che deve fare lei il suo percorso verso la voce, ma vorremmo sentirci meno impotenti.
Sappiamo perfettamente che è un disturbo transitorio, ma inevitabilmente ci prefiguriamo come potrebbe essere lo scenario contrario.
Eppure siamo fiduciosi. 
Davvero - ci diciamo - basterebbe che Matilde si stancasse di trattenersi e si lanciasse in una chiacchierata, senza che nessuno la consideri. Lei parla e tutti fanno o pensano ad altro. Ah, che sollievo. Nessun riflettore su di lei. Nessuna attesa, nessuna aspettativa, che la fanno sentire bloccata.
Immaginiamo. 
A volte è vero, si tende a ingigantire ciò che è molto semplice. 
Ci vuole leggerezza, cosa che spesso ci dimentichiamo da qualche parte, forse perché ormai adulti.
Ecco: leggerezza
Che, come diceva Calvino, non è prendere le cose con superficialità, ma planare su di esse dall'alto, senza avere macigni sul cuore.



sabato 29 luglio 2017

Ride Maty ride!

"E il mio cavallo è tutto nero. Si chiama Topolino".
"Ma che bello! E tu salivi sopra alla sella?"
"Sì, e poi ci mettevano anche un'altra cosa, tipo copertina, nella pancia. Sai come si chiama?"
"Mmm, no, io conosco solo la sella, le briglie..."
"Si chiama sottopancia!"
"Ah, giusto. E mettevi anche i piedi nelle... come si chiamano? Staffe?"
"Sì. E mettevo anche il caschetto".
"Per non farti male se cadi, giusto. Ma lo spazzolavi pure, il cavallo Topolino?"
"Solo fin dove arrivavo..."
"Già, fin dove arrivi... Senti, ma il tuo cavallo ha fatto anche la cacca?"
"No! L'ha fatta l'altro cavallo, quello del bambino. Sai come si chiama?"
"No..."
"Horus! Che è tutto nero con una macchia bianca sul muso".
"Ah, bello!"
"E poi l'altro cavallo si chiama Calimero. Lui è tutto tutto nero invece".
"Proprio come Calimero, il pulcino nero!"
"Sì! E sai dove stava Topolino nella stalla? Vicino a Calimero, ma non vicino di fianco, nella fila dall'altra parte..."
"Ah, di fronte".
"Sì, ma Topolino era il primo e Calimero l'ultimo. E poi c'era una stanza dove ci sono tutte le cose che servono per i cavalli..."

Mi piace quando Matilde mi racconta le cose.
Mi piace davvero, e glielo dico.
Lei mi fa quello sguardo e mi sorride.
Sor-ride. Ride come "to ride", cavalcare, in inglese.
Sì, perché quello di cui parliamo è la settimana che ha trascorso al centro estivo equestre, e che si è da poco conclusa. 
L'idea del centro estivo è stata della nostra psicologa. Noi non ci avevamo mai pensato finora: ogni estate io e il papà ci organizziamo per tenere le bambine in modo tale da non averne bisogno. Appena ce lo ha proposto, invece, abbiamo subito trovato più che giusta la motivazione: spezzare il lungo periodo vacanziero con un'esperienza nuovamente a contatto con coetanei e altri bambini, con cui condividere attività e giochi. 
L'idea di abbinarlo ai cavalli è venuta a me, non appena ho visto il volantino delle proposte per i centri estivi. Quella cavalcata di Matilde di qualche anno prima sul pony "Biscottino" è rimasta per lei un'esperienza entusiasmante.
Matilde, ti piacerebbe andare qualche giorno in una specie di scuola estiva dove ci sono i cavalli e vi fanno cavalcare? Le piacerebbe.
Bene, andiamo a prendere informazioni. Arriviamo al maneggio segnalato dopo aver percorso diversi svincoli e stradine strette di campagna. Siamo solo io e il papà, il posto ci sembra bello, troviamo la referente sotto il grande capannone aperto dove liberano i cavalli sul terreno sabbioso. E' Sara, una ragazza giovane e grintosa, tatuaggi e piercing, già madre di tre figlie quasi adolescenti. E' una delle "insegnanti" del centro estivo, quella che si occuperà anche di Matilde per le cinque mattinate che vogliamo prenotare. Mentre parliamo - io le chiedo se ci sono disponibilità di posti, lei mi racconta come si svolgerà la giornata, io domando cosa occorre portare, lei mi dà tutte le indicazioni - in realtà io penso a come devo dirglielo. 
Cosa le dico della difficoltà di Matilde? Del suo mutismo selettivo? Come glielo spiego, senza risultare troppo didascalica o prolissa?
E' questo l'aspetto che mi mette più ansia, appunto. Il dover informare gli altri, coloro che avranno a che fare col silenzio di Matilde. Perché non so come reagiranno, se riuscirò a far passare il giusto messaggio, se saranno collaborativi oppure se non capiranno la questione. 
Il consiglio della nostra psicologa mi viene ancora una volta in aiuto: dille semplicemente che è una bambina piuttosto timida e, se non risponderà, di non insistere nel richiederglielo
Sì, ok, facile. Ce la posso fare. 
Ma quando siamo lì, no, non mi viene, allora rimando, e mi dico: ok, glielo dirò appena si presenta l'occasione, quando magari inizierà, adesso è ancora presto. 

La prima mattina arriva, e ad accompagnare Matilde andiamo tutti: mamma, papà e sorellina. Mi sembra entusiasta, curiosa e pronta a scoprire questa nuova esperienza.
Entriamo nella stanza dell'accoglienza, ci sono anche altri bambini. L'atmosfera è rilassata, la campagna mette un senso di pace. 
Ci salutiamo e presentiamo. A sua volta, Sara ci presenta gli altri "compagni" del centro: due gemelle di circa nove o dieci anni, sue figlie, un'altra bambina di poco più grande di Matilde, e un ragazzino. Si guardano a vicenda, ma nessuno parla. 
Il papà stempera il silenzio e l'imbarazzo con una battuta: "Non siamo molto chiacchieroni, noi!"
"Tranquilli, anche qui non lo siamo!" risponde dall'altra parte la nostra referente.
Tiro allora un sospiro di sollievo. Bene, questo mi rassicura: so che c'è una persona comprensiva ad avere a che fare con Matilde.
Dopo un breve scambio di altre informazioni, la salutiamo e mentre ci allontaniamo vedo già una delle gemelle che la prende per mano. 
Dentro ho un miscuglio di sensazioni: timore, speranza, dubbi, curiosità, paura, fiducia.
Tutto si scioglie col primo riscontro positivo. La prima giornata - mi riferisce il papà mentre sono al lavoro - è andata benissimo. 
E ne ho ulteriore conferma la mattina dopo, quando Matilde la accompagno io. 
"Ciao! Buongiorno!"
"Ciao Matilde! Vieni qua!" 
E' Greta, la gemella che si è subito affezionata a mia figlia, ad accoglierla appena arriviamo.
Poi, rivolta a me, dice: "Sai che Matilde parla solo con me?"
Sono sorpresa e contenta: mi fa piacere che in un solo giorno abbia familiarizzato già con una delle bambine. 
Scambio due parole anche con sua mamma. Sara mi conferma che va tutto bene, è brava e le piace fare le attività coi cavalli, ma - e c'è sempre quel ma - "mi fa strano che non parli, non parla proprio".
Sì, lo so. Penso allora di cogliere la palla al balzo per accennare alla questione, poi però mi accorgo che Matilde e la altre bambine sono ancora intorno a noi, quindi preferisco rimandare, e lì per lì, al posto di tutto quello che vorrei dire, mi esce soltanto un VascoRossiano "eeeh". 
L'occasione di approfondire un po' di più arriva - e quando sennò? - proprio l'ultimo giorno. 
L'ultimo giorno accade anche una cosa strana. Finora è andato tutto bene, soltanto il giorno prima è successo che a Matilde sia venuto da piangere perché le era venuta nostalgia della mamma. Ci sta. A scoprire il motivo delle lacrime è stata proprio Greta, la sua portavoce. Dicevo, accade una cosa insolita ma in fondo comprensibile, che avevo già visto e vissuto sicuramente in qualche altra occasione, ma che in quel momento mi ha colto di sorpresa.
Quella mattina arriviamo al maneggio un po' in ritardo; il gruppetto di bambini si stava già avviando lungo la stradina che porta ai cavalli. Io saluto Matilde, che si va a unire subito a loro, e mi fermo più indietro a parlare con la referente. Ho con me lo zainetto che preparavo tutti i giorni per mia figlia, con acqua, crackers e fazzoletti, e lo do a Sara, che lo avrebbe posato come sempre sul tavolo della sala d'accoglienza. 
Mentre stiamo parlando, mi volto e vedo Matilde che corre verso di noi. E sta piangendo. Continuando di corsa e coi singhiozzi, strappa di mano all'insegnante il suo zainetto e fugge via velocissima per raggiungere di nuovo il gruppetto. Io la rincorro e la chiamo, voglio sapere che cosa le è successo, anche se lo so già, ma lei niente, va avanti e si ferma solo quando Greta le va incontro e l'abbraccia. 
Torno indietro verso Sara, allargando le braccia, perplessa e rassegnata. Voleva lo zainetto, e quando vuole qualcosa senza riuscire a dirlo, anziché le parole, le escono le lacrime.
"Ma stava piangendo" mi fa lei.
"Sì, ma non so cosa le sia preso, voleva lo zainetto. Adesso mi sembra già tutto passato. A volte fa così, mi hanno detto che anche ieri piangeva perché voleva la mamma..."
"Sì, ieri ho visto che tutto d'un tratto è scoppiata a piangere, poi Greta le è andata vicino e Matilde le ha detto che era per quel motivo. Il fatto è che proprio non parla..."
"Sì, infatti ci stiamo lavorando, su questo suo mutismo selettivo. A casa ci racconta tutto, ma a scuola, in tre anni di materna, per dirti, non ha mai parlato con le maestre. Con alcuni compagni sì. Comunque, è una cosa per cui ci vorrà il suo tempo. Mi stavi dicendo della prossima settimana, allora?"
"Sì, viste le richieste che abbiamo ricevuto, prolungheremo di un'altra settimana il centro estivo. Se vi va, fatemi sapere se ci sarete!"
"Sì, d'accordo, grazie. Ne parlerò e ti saprò dire entro stasera!"

Proposta bocciata.
"Matilde, ascoltami, ti devo chiedere una cosa. La scuola dei cavalli sarebbe finita, oggi era l'ultimo giorno, ma Sara mi ha detto che la faranno ancora la prossima settimana. Tu vorresti tornarci per altri cinque giorni, oppure sei stanca e vuoi stare a casa? Scegli quello che vuoi, senza problemi".
"Sono stanca..."
"Va bene, allora staremo a casa. Ma ti è piaciuto andarci?"
"Sì!"
E questo è l'importante. 
Un piccolo bagaglio in più, con cui continuare il tuo percorso sul cammino della crescita.

 




lunedì 3 luglio 2017

Rispettare il silenzio

Il silenzio spiazza. 
Il silenzio mette a disagio.
Il silenzio fa paura. 
Perché fa cadere nel vuoto le parole. Ti fa affacciare al bordo di uno spazio diverso. 
Ma non necessariamente fatto di assenza. Uno spazio che è altro, un universo che ha le sue regole, la sua pienezza. Un mondo da scoprire. 
La vertigine spaventa. Ma solo superandola puoi vedere oltre. Puoi sentire oltre. 
Perché il silenzio ha la sua voce. Il silenzio parla.

Sta per finire la scuola, ma non solo: sta per finire un ciclo, quello della scuola materna.
Matilde continua ad essere la bambina dolce, serena e giocosa di sempre. 
Alla festa di fine anno ha partecipato coi suoi compagni alle coreografie preparate dalle maestre, sempre precisa e impeccabile. E anche molto disinvolta. Quando si tratta di muoversi con il corpo lei è sempre in prima linea. Le piace molto.
La nostra psicologa ci ha infatti consigliato di continuare a proporle attività che la coinvolgano sul piano corporeo, che le possano dare possibilità di espressione senza dover utilizzare per forza il canale verbale per comunicare.
Alla festa di fine anno è successa anche un'altra cosa: abbiamo fatto una sorpresa per le maestre, che è stata una sorpresa per tutti. Da un suggerimento azzeccatissimo della nostra psicologa, ho proposto alle mamme di realizzare, come regalo di fine anno alle maestre, un videomessaggio collettivo di tutti i bambini della classe coi loro saluti alle insegnanti. L'idea ha avuto successo: ogni genitore ci ha inviato il filmato fatto al proprio figlio e, dopo averli raccolti tutti, il mio compagno ne ha fatto un ottimo video editing, aggiungendo musiche di sottofondo e bellissimi effetti grafici. 
Potrebbe essere un modo - ci diceva la nostra terapeuta - di far entrare la voce di Matilde nell'ambiente scolastico, mediata in questo caso da un video, in un contesto però in cui non sia lei l'unica ad esporsi, sottolineando così nuovamente la sua "diversità", ma che sia invece sullo stesso piano di tutti gli altri bambini, in una situazione in cui a tutti è richiesto di fare la stessa cosa.
Il nostro grande papà però ha una marcia in più: ha avuto una magnifica trovata. Io avevo preparato un semplice testo introduttivo, che avevamo inizialmente fatto scorrere sullo schermo, accompagnato da uno sfondo musicale. Invece lui ha pensato: proviamo a farlo recitare a Matilde! Quel giorno mia figlia era particolarmente disponibile a collaborare, il mio compagno le ha proposto la cosa, e lei ha accettato volentieri di ripetere e farsi registrare. E' bastato poi qualche ritocco nel montaggio et voilà: la voce di Matilde fuoricampo che "legge" il testo, mentre scorrono le parole sullo schermo.
E così, quella sera, dopo tutte le esibizioni e la cerimonia della consegna delle pergamene ai bambini dell'ultimo anno, ci siamo raccolti tutti nel grande atrio, davanti alla lavagna multimediale, per annunciare la sorpresa. L'incredulità e la meraviglia che spunta nei visi quando inizia il video con una vocina delicata e misteriosa che recita: "Care maestre, un altro anno è trascorso e siamo cresciuti tanto, anche grazie a voi. Abbiamo vissuto insieme condividendo risate e fatiche, con la gioia d'imparare gli uni dagli altri...". Un brusio di sottofondo che domanda di chi sia quella voce. Che emozione negli occhi delle maestre! E soprattutto lo stupore negli altri compagni. 
Erano tutti radunati a terra, seduti vicini. Matilde era tranquilla e felice di stare in mezzo a loro; ha soltanto abbassato la testa per l'imbarazzo di vedersi durante i suoi dieci secondi di video. 
Credo che questa cosa abbia fatto bene a lei, ma di più ai suoi compagni. Perché - confrontandomi anche con la psicologa - per lei ha potuto rappresentare una sorta di "rivincita", qualcosa di cui esserne orgogliosa. Gli altri bambini, invece, hanno potuto avere una dimostrazione diretta, una risposta immediata alle loro domande. Hanno potuto conoscere - seppure per un attimo - la Matilde che conosciamo solo noi sei, due genitori e quattro nonni.
Emma, una delle sue compagne, durante la cena di classe, mentre eravamo tutti nel cortile del locale in attesa della pizza, mi fa, riferendosi a Matilde: "Lo sai che qualche volta ci parla nelle orecchie? E che una volta ha pianto perché le mancava la forchetta per mangiare!" Scoprire qualche retroscena della vita scolastica è davvero qualcosa di prezioso: conoscere le dinamiche che si instaurano in classe mi fa capire meglio com'è mia figlia.
E poi c'è da dire che i bambini, in generale, sono molto più semplici, autentici e spontanei. Hanno un'altra visione delle cose: ai loro occhi, una difficoltà che a noi sembra insormontabile, semplicemente non esiste, perché trovano altre risorse per gestirla e superarla. 
Non diventa un problema, ecco. 
Sanno stare con le diversità, in modo molto naturale.
Invece gli adulti trovano sempre l'occasione per sottolineare, far notare, ricalcare le differenze. E così mi sento infastidita ancora una volta dal commento di una mamma, non una qualunque o una estranea, ma una alla quale avevo avuto modo di spiegare nel dettaglio tutto il nostro percorso. Capisco che i commenti vengono fatti con assoluta buonafede, ci mancherebbe, ma mi chiedo cosa possano aggiungere, cosa possano significare... Sono semplici battute, certo, che però io non riesco ancora a ignorare. 
"Matildeee! Matildeee! Ma lo sai che io ho sentito la tua voce?!"

Per quanto uno lo provi a spiegare, lo provi a capire, lo provi a studiare, ne abbia conoscenza e competenza, non riuscirà mai a sentirlo, a provare come ci si senta. 
Il mutismo selettivo è un'esperienza
Un'esperienza personale
Questa affermazione mi ha colpito in modo particolare, ancora di più perché l'ha detta una ragazza speciale, che è anche la referente regionale dell'Umbria della nostra associazione A.I.Mu.Se. Ed è una ex-muta selettiva, che ha superato nel corso della sua adolescenza questa difficoltà.
Durante la riunione di noi referenti, che si è tenuta a Bologna a fine aprile, a seguito del convegno nazionale dell'Associazione, si parlava di come ci sia a volte, nei ragazzi più grandi, una consapevolezza diversa e a volte un vero e proprio rifiuto dell'aiuto terapeutico. E in un certo senso è comprensibile. 
Entrare "a gamba tesa" in questo aspetto è una forzatura non priva di conseguenze. Si tratta comunque di una fase del vissuto di quella persona. 
Che non va sottovalutata, ma nemmeno rimossa. 
Occorre rispettarla
Ed è anche per questo che sono contenta dell'approccio terapeutico che abbiamo intrapreso, perché tiene proprio conto di questa visione, che io, personalmente, condivido.










lunedì 3 aprile 2017

La zona di comfort

Matilde farà sempre più fatica.
Non fatica a parlare, a tirare fuori la voce in presenza di altri. 
Ma a trattenersi dal non farlo.
Ha talmente tanta voglia di comunicare, con le amiche, coi compagni, con la maestra, col cuginetto, con chi la coinvolge, che prima o poi le sfuggirà qualche parola.
Lascerà il controllo.
Uscirà dal silenzio.
Un silenzio pressoché incomprensibile, che a tratti mi appare come una scelta, una presa di posizione. Anche se so che il mutismo selettivo non ha a che fare con qualcosa di intenzionale, oppositivo o manipolatorio.
A proposito del cuginetto, col quale ha smesso di parlare da un giorno all'altro (e anche qui: perché prima sì e poi no? cosa fa scattare il meccanismo?), una volta proposi a Matilde di domandargli una cosa banale su uno dei suoi giocattoli, e lei, con naturalezza e quasi una nota di ovvietà, mi rispose: "Ma io non parlo con Andrea". 
Come se avesse detto: ma io non ho i capelli biondi. 
Un dato di fatto. Un dato oggettivo.
Mi spiazzò. Ci pensai molto, su questa sua affermazione.
Lì per lì cercai di approfondire, per tastare il terreno, con cautela. Ma poco dopo, alle mie domande si stancò presto, voltandosi infastidita. Cambiai allora discorso.
Non so fino a che punto sia lei a decidere. 
Non so quanto ci sia di volontà e quanto di risposta istintiva al contesto.
Certamente, un meccanismo di difesa, di protezione, si attiva.
Con la nostra psicologa, durante lo scorso incontro, abbiamo parlato di questa sua tendenza a voler restare nella zona di comfort
L'esempio più evidente si manifesta nelle sue abitudini alimentari. Matilde ha ridotto progressivamente i cibi preferiti, fino a selezionare sei o sette piatti che fanno parte del suo menu. Sempre e solo quelli. 
A scuola, poi, la restrizione alimentare tocca il suo apice: ogni giorno dobbiamo prenotarle un pasto in bianco. Se quel giorno ci dimentichiamo, e le arriva sulla tavola un piatto di lasagne, o un risotto alla zucca, o anche una minestra di legumi (suo piatto preferito in assoluto, che a casa spazzola via di gran gusto) che però non è come vuole lei (leggi: presenza disturbante di pezzetti di carotina) è fatta: si mette a piangere. 
E questo, ci spiegava la psicologa, ha strettamente a che fare col discorso della difesa, della zona di comfort, della prudenza. Del proteggersi evitando di esporsi, evitando di provare, evitando di rischiare. 
Rischio e controllo.
Esplorazione e protezione.
Prudenza e coraggio.
E' su questo, che occorre lavorare. Insieme.
Sperimentare. Senza paura. Far capire che, se si esce dai binari conosciuti, non è vero che potrebbe succedere qualcosa di spaventoso, anzi: si possono scoprire nuove cose. Nuovi sapori, nuove esperienze, nuove capacità. Cose belle. Cose che ti arricchiscono.
E questo aspetto fa riflettere anche me. Su di me.
Io sono così: tendo a voler tenere tutto sotto controllo, ad andare in crisi quando le cose non vanno nel verso desiderato. Quando le cose sfuggono alla mia previsione.
Che sciocca! Lo so benissimo che le cose seguono il loro corso, e non il mio. Eppure mi comporto così. 
La psicologa l'ha capito benissimo, conoscendomi in quelle poche manciate di minuti al mese, e senza che glielo dicessi io esplicitamente. Nell'ultimo incontro ci fu un mio piccolo sfogo, a proposito di un episodio che mi ha ferita, per via di una frase pronunciata nei confronti di Matilde da parte di suo padre, suonata alle mie orecchie come infelice, quando in realtà non lo era. La frase, adesso decontestualizzata, era questa: "Se a scuola non parli, nessuno ti capirà".
Raccontai della frase, e del contesto, alla dottoressa.
"Io ci sono rimasta male" - le dissi. "Mi sono voltata verso il mio compagno e l'ho fulminato con lo sguardo. Perché mi sono sentita delusa: era come se non avesse più considerato tutto il percorso che avevamo fatto fin lì, e che stiamo facendo. Tutte le accortezze, i suggerimenti, i consigli su cosa fare, cosa non fare, cosa dire e non dire. Insomma, sarà anche perché quella sera ero un po' giù, un po' preoccupata, fatto sta che mi sono scese le lacrime".
"Ma guardi che la frase non è negativa, anzi!"
"Sì, ma magari sarebbe stato meglio volgerla in positivo, ad esempio: Vedrai che quando a scuola parlerai, tutti ti capiranno".
"Certo, quello sicuramente. Ma va anche bene farle notare la conseguenza dei suoi comportamenti. Come ad esempio nelle abitudini alimentari. Quando le proponete un cibo che lei rifiuta di assaggiare, potete dirle: che peccato che non lo vuoi assaggiare, non sai cosa ti perdi, se non lo assaggi non potrai scoprire se ti piace".
"Sì, alla fine mi sono resa conto che ho avuto una reazione esagerata, e che non aveva sbagliato il mio compagno. Mi sono sfogata anche sul gruppo dei referenti dell'Associazione di cui faccio parte, e i messaggi che mi hanno scritto sono stati tutti del tipo: forza e coraggio, essere genitori significa fare qualcosa di giusto in mezzo ad un mare di errori, oppure parlatene tra voi con calma, a mente fredda, e comunque quella frase non ha nulla di sbagliato, alla fine le ha detto la verità e a volte fa anche bene mettersi davanti alla realtà, o ancora tranquilla, può succedere che a volte si dicano frasi infelici, e la prossima volta potrebbe capitare anche a te..."
Qui la psicologa mi interrompe.
"No. A lei non potrebbe mai capitare. Assolutamente".
La guardo perplessa, poi confermo. Lo ammetto
"Sì, in effetti. Non è che mi ritenga infallibile, ma sono troppo attenta a tenere tutto sotto controllo..."
"Ma guardi che Matilde crescerà, e crescendo verrà a trovarsi in mille situazioni, dove incontrerà mille persone, che le faranno ogni tipo di osservazione. E lei non potrà intervenire su tutto, controllare ogni cosa e ogni parola. Ma questo ben venga!"
E' vero. Mi arrendo all'evidenza. E' proprio così, e non ci potrò fare nulla.
E poi ne prendo atto. Sono come lei. 
O meglio, Matilde è come me, in questo. 
Del resto, come si dice? La mela non cade lontana dall'albero.
Queste sedute fanno bene anche a me. Anzi, soprattutto a me. Riflettere, cambiare prospettiva sulle cose, mettersi nei panni di altri, provare a capire come ci si sente e a sentire come altri si sentono.
Mica semplice. 
Ma importantissimo.

P.S. Il blog si prende un periodo di pausa, a causa di impegni lavorativi della scrivente. Ma non abbandono qui. Altre cose sono già in attesa di vivere su queste pagine...