sabato 28 novembre 2020

CONQUISTE

In questo vortice di eventi, in questo tempo difficile, c'è un angolino di gioia, c'è un fuoco d'artificio che esplode per festeggiare.

Con l'inizio della scuola a Settembre, e mentre stiamo entrando sempre più velocemente nella temuta ma prevedibile seconda ondata di contagi da Coronavirus, i tanti dubbi e perplessità su come sarebbe andata sul fronte mutismo selettivo si sono presto e incredibilmente sciolti.

Il rientro in classe con tutti i protocolli anti-Covid ha portato molti cambiamenti: quest'anno sono in un'aula nuova, spoglia e senza appendi-giacche, i banchi sono disposti a isola dove sedersi distanziati, con le mascherine sempre indossate, igienizzandosi le mani all'ingresso, le uscite per andare in bagno sono prestabilite, così come in mensa, tutto è giustamente regolamentato. L'ora di ginnastica non c'era all'inizio, poi sì, poi nuovamente sospesa. Anche l'ora di religione era stata inizialmente sostituita da educazione civica per tutti, poi ripristinata appena c'è stato modo di avere uno spazio sicuro dove trasferire i bambini che, come Matilde, fanno l'attività alternativa. In questi continui mutamenti, in cui anche le insegnanti stesse si trovano disorientate e gravate da carichi di norme e responsabilità in più, c'è stato un elemento chiave, un oggetto costante che ci sta accompagnando da molti mesi nel mondo fuori casa, e che mai avrei pensato di dover indossare in vita mia: la mascherina.

Questa mascherina che non vediamo l'ora di toglierci ma che di fatto ci salva la vita, è lo strumento incredibilmente efficace che ha permesso a Matilde di far sentire la sua voce agli altri. E' una protezione che le offre la libertà e il coraggio di esporsi. 

Il 30 Settembre, a due settimane dall'inizio della scuola, ecco il messaggio che mi arriva dalla maestra di matematica Filomena:

"Buonasera, scusi se arrivo a tarda ora, volevamo aggiornarla sulla situazione attuale, praticamente è nata un po' così per gioco e adesso invece è diventato il nostro modo di comunicare: facciamo 'freezare' i bambini, e lei sentendosi evidentemente più tranquilla e isolata dal resto della classe parla con noi, dal posto... In italiano legge quando le tocca, e con me risponde alle domande come oggi in geografia, ed è stata brava, ha risposto giusto".

Le rispondo che è una bellissima notizia e che sì, Matilde ce l'aveva già in parte anticipato, la settimana precedente, quando mi disse con aria assolutamente disinvolta: "Sai, mamma, oggi la maestra ci ha fatto leggere in classe". "Ah! E hai letto anche tu?". "Sì, un pezzo". Da lì mi spiegò del metodo per farle fare la lettura in classe, come poi mi conferma la stessa maestra nel prosieguo dei messaggi, parlando anche di come la mascherina sia stata l'elemento che le ha dato protezione e sicurezza: 

"Sì, esattamente così, la prima volta quando gliel'ho proposto ho fatto leva proprio sul fatto che con la mascherina non potevamo vedere i nostri visi, ma solo ascoltare la voce. Noi insegnanti non possiamo più chinarci e porgere l'orecchio, quindi dovevamo trovare un altro modo: freezare i compagni facendo tappare loro le orecchie. Da lì è partita".

Provo a immaginarmi la scena, e sorrido. Che felicità e che gioia! L'ha fatto, penso, ci è riuscita. E' incredibile! Non avevo dubbi, ma non me lo sarei aspettata così presto, dopo pochissimi giorni di scuola. Passare dalle videoregistrazioni fatte a casa e inviate via WhatsApp alle insegnanti, alle risposte a voce direttamente in classe, non era così scontato e immediato. 

Nel frattempo, anche in altri ambiti Matilde ha dimostrato grande scioltezza, la stessa che conosciamo noi a casa. Ad esempio dal dentista. Siamo andati al controllo dopo mesi e mesi dall'ultima volta in cui ci andammo, ovvero Dicembre dell'anno prima. Fin da subito, in sala d'attesa, la vedevo molto libera di muoversi e parlare con me, raccontandomi cose di scuola o cose sue, così come facciamo sempre. Da dietro le nostre mascherine, la voce non trova ostacoli. Entrata nello studio della dentista, risponde tranquillamente anche alle sue domande, stavolta senza mascherina, dato che ovviamente le aveva chiesto di toglierla per visitarla. Sento una bella sensazione dentro di me, guardo Matilde e le dico che è super brava e coraggiosa. 

La stessa cosa avviene anche alle lezioni di psicomotricità. Dopo l'interruzione a fine Febbraio, abbiamo ripreso a Ottobre, con il corso mono-settimanale di gruppo, anche se di fatto il gruppo è formato da una coppia, Matilde e un'altra bambina quasi sua coetanea. Prima della chiusura totale delle attività in primavera, avevamo fatto in tempo a fare tre lezioni, alle quali Matilde aveva partecipato con molto entusiasmo, ma ancora silenziosamente. Invece, forse sull'onda di tutti gli avvenimenti estivi e scolastici, alla prima lezione della ripresa autunnale si è lasciata andare fin da subito. Sempre parlando da dietro la mascherina, che ovunque è ormai richiesta. Il feedback della psicomotricista al 15 ottobre è stato questo:

"Volevo chiederti una cosa, la settimana scorsa Matilde ci ha fatto una bellissima sorpresa e ci ha raccontato delle cose, è stato emozionante sentire la sua voce per la prima volta! Questo vale anche per la scuola?"

Devo dire che anche dal mio punto di vista, trovarsi dentro questo turbine di novità è stato bello ed emozionante. Quello che mi chiedo è come lo stia vivendo Matilde. Non ho ancora avuto occasione di chiederglielo, sia perché non siamo ancora entrate in modo approfondito nell'argomento, sia perché quando tento di capire cosa prova dentro di sé, le sue risposte si limitano a singoli aggettivi: felice / bene. Forse questa capacità ancora acerba di saper descrivere e capire cosa la attraversa, fa parte del percorso. Glielo insegnerò un po' io, glielo insegnerà un po' la vita.

Intanto, in questo anno che è un ottovolante di tristezza e felicità, ci godiamo questi momenti esaltanti, che sono stati espressi nel miglior modo dal messaggio ricevuto dalla maestra di italiano Annalina, che il giorno 11 Novembre mi scrive: 

"Questa sera avevo proprio intenzione di scrivervi per esprimervi la gioia immensa che Matilde ci sta dando in questi giorni, tanto da sognarla anche la notte, come ho raccontato a Matilde stessa. In un periodo particolare come quello che stiamo vivendo, ci si aggrappa alle piccoli grandi conquiste che, giorno dopo giorno, siamo in grado di raggiungere. Le conquiste di Matilde sono semplicemente SPETTACOLARI. La mascherina sembra essere diventata la sua coperta di Linus, tanto da spingerla a parlare non solo con noi e i suoi compagni, ma anche con l'esperta di lingua inglese. Noi siamo FELICISSIME ed ORGOGLIOSE di lei!".








giovedì 27 agosto 2020

Questo 2020 così complicato ma anche incredibile

Sono passati molti mesi dall'ultimo post. Mesi difficili, inaspettati, terribilmente segnati dal contagio pandemico di un nuovo virus, il Covid-19, che ha portato tanto dolore, sofferenza, paura, sacrifici, e che purtroppo continua a far temere per il futuro. E con il quale, a quanto pare, dobbiamo imparare a convivere ancora per altri mesi e mesi, almeno fino all'arrivo di un salvifico vaccino. 

Le scuole hanno improvvisamente e bruscamente chiuso i loro battenti dal 24 febbraio fino alla fine dell'anno scolastico. Tutto si è fermato. (Giustamente.) Dentro le aule tutto è rimasto così come lo avevano lasciato alunni e insegnanti il venerdì precedente, convinti che il lunedì si sarebbe ripresa la normale routine. Invece no. Siamo stati presi da un continuo rincorrersi di informazioni, spesso discordanti tra ordini e contrordini, e di sensazioni, tra incredulità, rifiuto, spavento, rassegnazione.

Incertezza. Soprattutto incertezza su cosa ci avrebbe atteso, su cosa stavamo affrontando, su come ci stava minacciando questo nuovo virus. Un toccasana per l'ansia, insomma!

Quando le scuole si sono organizzate con la ormai famosa DaD, la didattica a distanza, le famiglie si sono attrezzate per far entrare la scuola tra le mura di casa. Tra mille ostacoli, connessioni lente o intermittenti, auricolari o cuffie, password errate o azzeccate, alla fine ci siamo abituati anche al quotidiano appuntamento scolastico casalingo. I genitori, a furia di ripetizioni e spiegazioni aggiuntive, hanno potuto prendere un'abilitazione "ah honorem" all'insegnamento, e mentre tutti quanti imparavamo nuove parole e nuovi comportamenti (lockdown, mascherina, assembramenti, autocertificazione) ci siamo anche abituati a quell'unico modo possibile, in quel frangente, di comunicare e stare in contatto pur nella distanza forzata dell'isolamento. 

Videolezioni, videoconferenze, smart working, videochiamate, piattaforma Meet, piattaforma Zoom, e compagnia bella. Computer, tablet e telefonini sono stati la nostra interfaccia e la nostra connessione col prossimo. Compagni di classe, colleghi, parenti, amici: tutti finiti dietro (o dentro) lo schermo. Che ha avuto la fondamentale utilità di avvicinarci quando sembrava impossibile potersi reincontrare, potersi riabbracciare. 

Poi ci siamo finalmente reincontrati. Alcuni riabbracciati. A maggio era ufficialmente terminato il lockdown, io sono potuta rientrare al lavoro, e faceva veramente uno strano effetto uscire e rapportarsi in presenza con gli altri. C'era sempre questa paura, questa sottile agitazione, un continuo stare in guardia senza potersi mai completamente rilassare come prima. Una sensazione di disorientamento. A metà maggio abbiamo iniziato a portare le bimbe nei prati all'aperto, dopo poco hanno tolto i nastri a strisce bianche e rosse con cui avevano avvolto i giochi al parco, rendendo di nuovo accessibili scivoli e altalene. 

Per la festa del 2 Giugno siamo andati a trascorrere la giornata al mare. Vedere il mare dopo mesi di casa e terrazzo, è stata una vera gioia. Un senso di libertà, di apertura, straordinario. Una rinascita. Lì, durante il pranzo allo stabilimento balneare, Matilde ha compiuto il "primo miracolo". (*) L'ordinazione alla cameriera. In quel caso, ho chiesto a Matilde cosa volesse mangiare, e lei, parlando a me a voce alta, perché i posti a tavola erano ben distanziati come da normativa, ha detto così chiaramente il nome del piatto che desiderava, che non c'è stato bisogno della mia ripetizione alla cameriera, poiché aveva già preso nota correttamente. 

Qualche giorno dopo, siamo circa a metà giugno, il "secondo miracolo" (li chiamo così in maniera ironica e affettuosa, ma rende bene l'idea di quanto invisibilmente a bocca aperta mi abbiano lasciato, ritenendo pressoché improbabile che nei confronti di persone estranee sarebbe potuto a breve succedere un tentativo verbale). L'ordinazione alla gelataia. Quel giorno, dopo esser state al parco, decidiamo di farci una merenda in gelateria. Lungo il tragitto per strada, chiedo alle bimbe quali gusti prenderanno e poi propongo: "Dai, diteli voi i gusti che volete, direttamente alla gelataia, tanto ormai siete in grado, che ne dite?". Abbiamo ripassato cosa dire per l'ordinazione, e poi, giunti davanti al bancone, Matilde da dietro la mascherina proclama "Una coppetta piccola al cioccolato!". La gelataia, non avendo inteso bene ha chiesto di ripetere, allora, dopo aver abbassato la mascherina, Matilde ha ripetuto a voce alta la stessa richiesta. La gelataia le ha servito la coppetta e, dopo aver aspettato che anche la sorellina facesse la sua ordinazione, ho pagato e siamo uscite.

Neanche una settimana dopo, si verifica il "terzo miracolo". Erano cominciate a ripartire alcune iniziative per bambini nella nostra città, e visto che Matilde si è mostrata immediatamente entusiasta di partecipare nuovamente a forme di ritrovata socialità, tra proposte di attività fisica e laboratori creativi, l'ho volentieri iscritta a un corso di danza e movimento al parco, e a un ciclo di incontri di esperienze creative per bambini. Già all'arrivo in segreteria per le iscrizioni ai laboratori di "Officina", da dietro la mascherina Matilde risponde alla richiesta di dire il suo nome e la sua età. Spontaneamente, senza che io abbia ripetuto la domanda, o insistito. Anzi, mi sono imposta di tacere io, senza rispondere al posto suo, ma rispettando il suo tempo di reazione. Che non è nemmeno durato più del normale. Una volta iniziati i corsi, ai quali ho iscritto anche la sorellina Michela per la fascia d'età relativa, Matilde ha partecipato a tutte le attività rispondendo alle richieste verbali con la sua viva voce. Ed è stata una continua conferma. Sia al momento iniziale del "totem delle emozioni" dove le educatrici invitavano i bimbi a indicare la faccina corrispondente a come si sentivano quel giorno (felice, triste, arrabbiato, così così) e a motivare la scelta fatta (Matilde si limitava a dire "felice" senza aggiungere altro ma intanto aveva pronunciato davanti a tutti la parola), sia al momento della vera e propria attività, dove le bravissime Eleonora e Cecilia coinvolgevano i bimbi nell'apprezzare, commentare, interessarsi al lavoro di ciascun bimbo (Matilde rispondeva alla richiesta di dare un nome al proprio elaborato, o di riferire cosa stesse utilizzando per crearlo) fino al momento della merenda che veniva offerta a tutti, proponendo la scelta tra merendina o crackers, e tra succo o acqua (Matilde diceva a voce la sua preferenza). Ha pronunciato perfino il "grazie" e il "ciao" finale, che sono tra le due attivazioni verbali più difficili da recuperare per i bambini con mutismo selettivo, perché il saluto e il ringraziamento espongono molto all'interazione con l'altro e quindi sono tendenzialmente le ultime parole a riuscire a uscire (tant'è che involontariamente passano per bimbi maleducati, quando invece hanno "solo" un blocco d'ansia).

Però. C'è sempre il però. Con le persone che la conoscono già come "la bambina che non parla" resta ancora nella sua modalità silenziosa. Mentre con gli estranei, gli occasionali, coloro che non sanno nulla di lei, e pertanto non vengono percepiti come giudicanti, tutto è più rilassato, più fluido, il controllo si allenta e le parole rotolano facilmente sulla lingua, come fa a casa. E noi riconosciamo la Matilde che conosciamo da sempre. Anche se fa un certo effetto anche a me, positivo ma ovviamente sorprendente, vederla parlare con altri. La gelataia, il cameriere, il passante, le educatrici di Officina. Persino bambini estemporaneamente conosciuti al parco, ai quali ha risposto dicendo il suo nome e la sua età.

Con compagni, parenti e amici di famiglia, è ancora difficile. Per quanto ci siano delle varianti anche abbastanza rilevanti. Nel rapportarsi con compagni e maestre, ad esempio, nei momenti di videolezione la modalità di interazione di Matilde era esclusivamente scritta, attraverso lo spazio della chat che compariva accanto alle finestre video dei componenti della classe. Per quanto le insegnanti, sempre molto collaborative e disponibili, abbiano proposto e provato a creare un momento di videointerazione con loro e un piccolo gruppo ristretto di amiche in cui Matilde potesse sentirsi più a suo agio. Ma nel suo caso non funzionò per agevolare il verbale. Invece, i messaggi vocali alle insegnanti su WhatsApp sono continuati tranquillamente. Con Giulia, sua compagna e amica prediletta, la voce di Matilde si è fatta sentire forte e chiara nelle videochiamate, sempre tramite WhatsApp. E' stata una bella novità del lockdown, questa delle videochiamate con Giulia, mentre quando potemmo tornare a trovarci in presenza, ritornò anche il silenzio di Matilde, pur giocando spensieratamente insieme alla sua adorata amica. 

Ora che la riapertura della scuola si avvicina, tra mille mila dubbi e incertezze, che mi rendono ogni giorno più avvilita, chissà se la mascherina obbligatoria sarà un ostacolo oppure un'opportunità. Matilde aveva iniziato in terza elementare a parlare all'orecchio delle maestre, abbandonando il sistema dei bigliettini per comunicare con loro. Addirittura nella settimana prima della chiusura, mi aveva avvicinata l'insegnante di sostegno all'uscita da scuola per dirmi che Matilde aveva parlato all'orecchio anche con lei. Eravamo a questo punto, quando tutto poi si interruppe, come sappiamo. 

La ripartenza è piena di incognite, ma andremo avanti passo per passo, come abbiamo sempre fatto. E sempre fiduciosamente. Con qualche bella esperienza in più nella saccoccia.




(*) Parlando dei "miracoli" prendo spunto proprio dal libro "Matilde" di Roald Dahl, che ci ha accompagnato in queste settimane come lettura estiva ed è piaciuto molto alle bimbe. La protagonista del libro compie veri e propri miracoli usando un'energia, uno speciale potere, che non sapeva nemmeno di avere.



domenica 29 dicembre 2019

Buona fine con ottime prospettive di Buon inizio

Si conclude questo 2019, da una parte difficile e doloroso, e dall'altra entusiasmante e fortunato.
Un anno schizofrenico. Da dimenticare e da ricordare.
Un anno che toglie da una parte e che dona dall'altra.
Sicuramente positivo per i piccoli grandi passi che sta facendo Matilde nel suo ritrovare le parole in pubblico.

A scuola la novità più importante è il fatto di aver iniziato a parlare all'orecchio delle insegnanti. Prima di Filomena, a fine ottobre. Poi di Annalina, a metà novembre.
La maestra di matematica, il 28 Ottobre, mi manda questo messaggino: "Salve, scusi se uso questo mezzo per comunicare con lei, ma visto che ci scambiamo i video di Matilde e quant'altro qui, ne approfitto anche per raccontarle di oggi. Ho chiesto le tabelline ai bimbi; quando è arrivato il turno di Matilde gliele ho chieste, e poi mi sono avvicinata, piegandomi, a lei che a sua volta si è avvicinata all'orecchio e mi ha detto i risultati di due tabelline (risultati esatti!). Poi, mentre chiedevo le tabelline agli altri, l'ho vista mentre stava per alzarsi con il solito biglietto in mano del "Posso andare in bagno?" Io l'ho guardata con dolcezza ma anche con l'aria del "ancora questo bigliettino?! Dai, che sei pronta!" senza però parlare in realtà, e lei dopo pochissimi istanti ha posato il biglietto, è venuta da me tirandosi in su per parlarmi all'orecchio e mi ha chiesto di andare in bagno. Noi tutti tranquilli e senza scomporci. E' tornata felice!"
Grande Mati, ho pensato, con il cuore pieno di gioia e un sorriso stampato in faccia.
Ho parlato poi con l'insegnante all'uscita da scuola, e Filomena mi ha raccontato bene le circostanze del fatto: è accaduto tutto in classe, quindi in presenza dei compagni, che, essendo stati "istruiti" sul fatto di evitare reazioni di stupore, non hanno commentato né evidenziato la novità. Perché il messaggio che deve passare è sempre quello che usare la voce e le parole è una cosa normale, di cui non meravigliarsi. Soprattutto - e paradossalmente - se a farlo è una compagna che loro non hanno mai sentito parlare.
Ma c'è un piccolo, importante, passaggio in più: il 7 Novembre, in risposta all'ormai consueto video che mandiamo alla maestra con la registrazione di Matilde che ripete le pagine da studiare per compito, Filomena risponde con un messaggio vocale, dicendole che è stata brava e salutandola per rivedersi l'indomani a scuola. Ho chiesto a Matilde se volesse rispondere anche lei con un vocale, e ha accettato di dirle a voce un primo telegrafico "A domani!". Da lì ne sono seguiti altri, sempre un po' più articolati.
Nel frattempo, il 14 Novembre mi arriva - tra l'altro nel bel mezzo di un seminario sul mutismo selettivo organizzato per Aimuse a Bologna - il messaggio di Annalina, che scrive: "Stamattina Matilde ha parlato anche a me... sono stata al settimo cielo! Una novità fantastica! Mi ha parlato all'orecchio in classe, davanti agli altri compagni. Sono sicura che entro la fine dell'anno ci stupirà!". E poco dopo, il 26 Novembre, arriva anche con lei il primo scambio di messaggi vocali, affettuosi e divertenti, come con l'altra insegnante.
Lo strumento di WhatsApp si rivela davvero utile in questo caso.
Non solo, qualche settimana dopo mi ferma l'insegnante di sostegno, che è nella loro classe dall'anno scorso, per dirmi che Matilde ha parlato all'orecchio anche con lei.
La recita di fine anno che si è tenuta a metà dicembre insieme alle altri classe terze è stata come le altre volte. Proviamo ogni volta a buttare lì a Matilde il suggerimento di cantare in playback, tanto cosa le costa? Deve muovere solo le labbra. Però evidentemente non se la sente ancora. 
Il giorno dopo lo spettacolo natalizio, mentre io e alcune mamme scambiavamo gli auguri all'uscita da scuola con le maestre, Filomena mi ha accennato al fatto che Matilde le aveva fatto una promessa, lasciando intendere che riguardava il tentativo di cantare insieme al coro di bambini. Lì per lì, ho soltanto sorriso, convenendo con l'insegnante che non importa, è andata bene comunque e tutti sono stati bravi. 
Però, ecco, avrei voluto spiegarle che forse la promessa di Matilde fatta alla maestra era più che altro un non voler deludere la sua richiesta, perlomeno a livello ideale. Spesso la paura di parlare, o la vergogna di esporsi con la voce, nascondono invece una gran voglia di comunicare: i bambini con mutismo selettivo ci tengono così tanto alla relazione con l'altra persona, da percepire le sue aspettative e non volerle deludere. Poi il conseguente blocco del verbale è una reazione difensiva quasi automatica, che inizialmente è difficile da disinnescare, soprattutto quando l'ipercontrollo mantiene attivo il livello d'ansia. Ma piano piano, a piccoli passi, occorre ed è possibile sciogliere il disagio.

Altra piccola grande novità è stato a Natale, quando arriva il regalo della mia cara amica Ilaria per le bimbe.
Una coppia di walkie-talkie. 
Un'idea bellissima, che si è rivelata da subito efficace per vincere il silenzio di Matilde.
Incredibilmente si è messa subito a provarli con la sorellina e, parlando nella ricetrasmittente a Michela, ha fatto sentire la sua voce anche a parenti con cui lei finora non parla. Eravamo io e Matilde in bagno, e la sorellina insieme a Ilaria e mia zia Patty in salotto. Le bimbe, parlandosi nei rispettivi walkie-talkie, giocavano a salutarsi, farsi richieste, darsi ordini, farsi pernacchie, divertite dalla novità del gioco. Che potrebbe poi estendersi anche ad altri bambini, ai suoi compagni, ad esempio, o comunque a persone con cui la voce fa ancora fatica a farsi sentire. 
Il fatto di doversi per forza allontanare fisicamente e andare in un'altra stanza per far funzionare le ricetrasmittenti è la cosa ideale per provare a parlare senza essere visti, parlare restando nascosti, che dà una protezione in più rispetto all'esporsi direttamente in presenza. 
E anche il giorno dopo, con la scusa di testarne il funzionamento anche a centinaia di metri, come garantivano le istruzioni allegate, andiamo al parco e lì ci raggiungono anche gli zii con mio cugino. Matilde è col nonno in mezzo agli alberi a circa duecento metri da noi e lei da laggiù fa vibrare la sua voce nell'apparecchio di Michela, che da qui risponde alle domande di sua sorella. 
Non credevo che con tanta facilità accettasse volentieri di provare i walkie-talkie, ma invece ciò dimostra quanto sia predisposta a superare la sua difficoltà.

E novità ce ne saranno anche per l'anno che verrà.
Non anticipo troppo - così lascio la suspense e la voglia di scriverne in seguito - ma due cose importanti sono in vista: una nuova opportunità in un corso di psicomotricità a Modena, che abbiamo recentemente contattato per informazioni, e la proposta della nostra psicoterapeuta di iniziare con Matilde degli incontri individuali, dove vedrà la bambina in studio e per la prima volta faranno terapia diretta. 
Vediamo come andrà. Sono sempre più fiduciosa.
Intanto Buon 2020!








giovedì 10 ottobre 2019

Prove tecniche di voce e parole

La scuola è già iniziata, e Matilde è ormai in terza elementare.
L'estate è già volata, e ci ha portato tre belle novità da raccontare qui.

La prima è stata a giugno, l'ultimo giorno di seconda elementare.
Matilde ha risposto a voce alla maestra che le chiedeva la tabellina. Fuori dalla classe, solo loro due, in disparte.
Stavano facendo un gioco seduti in cerchio, in cui ciascuno a turno doveva dire il risultato della tabellina. Per dare modo anche a Mati di dirlo, l'insegnante di matematica si è appartata con lei fuori dalla classe. E qui, invece che all'orecchio dell'insegnante, lei ha risposto a voce a distanza udibile.
Poi la maestra Filomena ha provato a spronarla anche in classe a provare, ma evidentemente Mati non se la sentiva, lei non voleva forzarla e quindi non ha più insistito.
Anche l'anno scorso, gli ultimi due giorni della classe prima, aveva preso coraggio per dire una parolina, quella volta all'orecchio, a entrambe le maestre e anche ai compagni. Evidentemente questa cosa dell' Ultimo Giorno di Scuola si sta consolidando come un'usanza tutta sua, un rituale rassicurante, un banco di prova per testare le sue possibilità.
Che stanno lentamente progredendo, senza dubbio.
Noi genitori, resi ciechi dal desiderio di vedere risolto tutto presto e subito, spesso non ce ne accorgiamo dei piccoli ma costanti passi avanti dei nostri figli. Loro continuano, impercettibilmente, a salire i gradini del loro personalissimo percorso. Anche se questi gradini sono posizionati a distanza di un anno l'uno dall'altro, non importa: significa che quello è il tempo a loro necessario per avanzare. Non siamo tutti sulla stessa strada: non abbiamo tutti lo stesso asfalto, le stesse pendenze, le stesse condizioni atmosferiche, lo stesso equipaggiamento. C'è chi ci metterà un giorno, chi ci metterà un anno, a percorrere quel cammino. L'importante è non fermarsi mai, per non rischiare di restare invischiati nelle paludose sabbie mobili della zona di comfort.
Continuare a tentare.

La seconda è stata a luglio, il primo giorno di centro estivo.
Matilde ha risposto a voce all'animatrice che le chiedeva il nome. Quella mattina avevo accompagnato lei e la sorellina in questo nuovo centro estivo, scelto unicamente per praticità logistica e per la possibilità di mandarci entrambe le bimbe.
Tutto nuovo: ambiente, bambini, educatori. Nessuno dei suoi compagni di classe. Nessuno sa che lei è la "bambina che non parla".
La sera prima, mentre parliamo di come funzionerà questo nuovo centro estivo, quasi a chiedere conferma per volersi preparare, Matilde mi dice: "Mamma, io lo so cosa ci faranno fare il primo giorno: ci faranno mettere tutti in cerchio e ci chiederanno il nome, a tutti!". Io le rispondo con estrema calma e tranquillità che, anche se dovesse succedere, non importa: se te la senti potrai dirlo, altrimenti non succede niente. La mattina dopo, mentre siamo in macchina dirette verso il centro estivo, Mati mi ripropone quella stessa considerazione. E io ripeto la stessa risposta.
Una volta arrivate, l'animatrice si presenta e ci accoglie, e ci lascia fare un piccolo giretto di ambientazione. Avevamo già fatto una prima perlustrazione la settimana precedente, proprio per dare modo alle bambine di conoscere l'ambiente e facilitarne l'inserimento. Non è la stessa animatrice con la quale avevo parlato durante l'iscrizione, alla quale avevo in seguito accennato al discorso del mutismo selettivo, dandole qualche essenziale informazione preliminare. E non so nemmeno se questa ragazza abbia avuto o no uno scambio con la collega, e quindi se sia o meno a conoscenza della situazione. Ad ogni modo, è molto tranquilla e rispettosa dei nostri tempi e spazi.
Finito quindi questo veloce giretto, tornando alla postazione dell'educatrice, avviene un brevissimo botta-e-risposta dove succede quel che non mi aspettavo, ma a cui felicemente assisto. La ragazza, rivolgendosi alle bambine, chiede: "Allora, chi delle due è Matilde e chi Michela?". Noi tre siamo di fronte a lei, a un paio di metri di distanza; alla mia sinistra c'è la piccolina, e alla mia destra ho Mati, che prontamente risponde dicendo a voce udibile: "Matilde". L'animatrice, senza battere ciglio, rilancia chiedendo: "E io, come mi chiamo?". E di nuovo, immediatamente, Matilde risponde: "Alessia".
Io, a dire il vero, lì per lì non ho subito realizzato che effettivamente era stata mia figlia ad aver pronunciato quelle parole. Perché per me quella è la quotidianità, la voce di Matilde è in ogni normale scambio di tutti i giorni. In un nanosecondo, però, in quella fulminea sequenza di sinapsi che si accendono e pensano "è davvero lei? sì o no? sì, sì, è proprio lei! wow, è davvero lei!" mi sono accorta che sì, era vero, e avevo appena assistito a una piccola grande dimostrazione di coraggio da parte di mia figlia.
Col cuore che mi esplodeva di gioia, l'ho salutata con un bacio, sussurrandole un "sei bravissima!" e augurandole una buona giornata.
La settimana è andata benone, il fatto non si è più ripetuto, ma sono rimasta davvero tanto contenta del passo da lei compiuto in questo tentativo di apertura verso la voce per gli altri. Che bello, questo tassello. Una piccola ma luminosa stellina di successo.

La terza è stata a settembre, qualche giorno prima dell'inizio della scuola, al parco Esploraria.
Quel pomeriggio di tarda estate eravamo in preda alla noia di non sapere cosa fare. Fuori il cielo era perfettamente sereno, la temperatura esterna al punto giusto. Decidiamo allora di andare in questo parco avventura nei pressi di Zocca, sull'appennino modenese, visto che l'offerta prometteva diversi percorsi di arrampicata e albering per bambini, e Matilde ne aveva già sperimentato uno proprio durante la giornata di gita organizzata dal centro estivo.
Arrivati sul posto, molto imboscato e poco popolato, ma immerso in una meravigliosa natura, ci fermiamo al banco dell'accoglienza. Chiediamo all'unico ragazzo dello staff lì presente: vorremmo dare un'occhiata prima, così le bambine decidono poi se farlo o meno. Vediamo una bambina, la sola che c'è, insieme alla sua famiglia, tutta imbragata e intenta a camminare lungo le passerelle e gli ostacoli sospesi tra gli alberi. Tutti i percorsi terminano con una carrucola a cui ti devi aggrappare e lanciare, fino ad arrivare alla rete da cui scendere.
Al termine della perlustrazione, Matilde è del tutto convinta che lo vuole provare. Si vede quando è contenta ed emozionata. Ha uno sguardo che parla.
Torniamo dal ragazzo dello staff, che molto tranquillamente le fa indossare l'imbragatura e l'aiuta a sistemarsela, le spiega brevemente che quegli aggeggi si chiamano moschettoni e come li deve agganciare. Ci spostiamo nel campo base per le istruzioni fondamentali.
Il ragazzo fa salire Matilde sulla prima piattaforma, sempre indicandole passo passo quello che deve fare. E' molto pacato, ma deciso, e si rivolge direttamente a lei, anche con una leggera aria di sufficienza, come di qualcuno che deve ripetere le stesse cose tutte le volte e ormai va avanti col pilota automatico. Spesso lui, mentre parla, guarda altrove: pochissimo contatto visivo. Quindi, investimento emotivo: minimo.
Quando è il momento di spiegare il significato del segno giallo indicato sui percorsi, il ragazzo si accerta che lei comprenda la distinzione dei colori. "Ok. Quello è il colore...?" Silenzio. "Che colore è quello?" ripete lui. Niente. Allora continua:
"E' il giallo: e quando vedi il segno giallo sulla corda significa che serve la carrucola. Come si fa a chiamare la carrucola? Si dice: carrucola, per favore!"
Matilde è lì, a un metro e mezzo da terra, sulla piattaforma che circonda il tronco di un fortissimo albero, imbragata come un salamino, con in testa un elmetto più grande di lei, con in mano uno dei due moschettoni, che ci guarda, che lo guarda, mentre lui ripete la domanda: "Allora? Sentiamo: come si fa a chiamare la carrucola?" Ancora niente. Io e il papà resistiamo, come da indicazioni della psicologa, ci asteniamo dall'intervenire al posto di nostra figlia. "Dai, forza! Fammi sentire come si dice!". Io comincio a frugarmi nella borsa, per scaricare la tensione, facendo una cosa qualsiasi pur di distogliermi dalla testa l'impulso a rispondere al posto suo. Invece ci pensa lei. 
"Carrucola..." dice Matilde. 
Ma non faccio in tempo a capire, che subito il ragazzo, non contento, puntualizza: "E poi?"
"Per favore..." lo accontenta lei. La sua voce è udibile, nel silenzio del parco, anche se un po' bassa.
Ma per l'ignaro istruttore non è sufficiente: "Eh, ma la carrucola è laggiù, lontana: non ti sente! Chiamala più forte per farla arrivare!"
E così Matilde dà fiato alla sua voce urlando: "Carrucola, per favore!!!"
Io e il papà ci guardiamo. Solo noi capiamo. Gioia interiore mascherata esteriormente da un "brava, sei riuscita ad avere la carrucola, grande!". Gioia interiore che ti fischiano persino le orecchie.
L'istruttore continua a spiegare, ci lascia al divertimento, Matilde fa tutti i percorsi, alcuni più volte, tentenna appena prima di lanciarsi con la carrucola, ma alla fine è quello il modo per scendere dagli alberi, come era quello il modo per chiamare la carrucola, ed ecco che si butta.

Questi suoi isolati exploit saranno il preludio a un nuovo coraggio?
Lo scopriremo vivendo. 
Di certo, le è servito per dimostrare a sé stessa che ce la può fare



venerdì 17 maggio 2019

Lezioni di volo

Questo sarà un post suddiviso in maniera molto schematica in paragrafi.
Perché quando occorre riassumere tutti gli avvenimenti tralasciati in questo tempo, occorre metodo.
Razionalità.
Sono rimasta indietro, sì. Ma recupero subito con grande slancio.
Che lo spirito della concisione venga a me.

TERAPIA
Ci chiama subito dopo Natale una nuova neuropsichiatra infantile: sarà lei a prendere in carico Matilde d'ora in poi, avendo la bimba compiuto sette anni. Dalla voce sembra giovane, gentile, disponibile. E così è: al primo incontro siamo andati noi genitori insieme a nostra figlia. Mentre noi firmavamo cose burocratiche, lei si è rivolta a Matilde chiedendole se volesse fare un disegno, e lei ha accettato. I modi dolci e pacati della dottoressa ci hanno rassicurato sulla qualità della relazione che si sarebbe instaurata con nostra figlia, e anche con noi. Impressione distante anni luce dall'impatto avuto con quella neuropsichiatra infantile che ci capitò quando all'inizio ci rivolgemmo al servizio, come già descritto qui. Terminate le procedure formali, la dottoressa - a Matilde avevo spiegato che saremmo andati da una signora per avere consigli sulla sua situazione di difficoltà nel far uscire, a volte, le parole - ci ha fatto accomodare fuori nella sala d'attesa, rimanendo da sola con la bimba in quel piccolo, quasi minuscolo, studio. Mentre io e il papà svolgiamo il compito appena assegnatoci - la compilazione di un questionario su alcune caratteristiche comportamentali osservate sulla bambina - ci chiediamo come starà andando l'incontro là dentro. Quando veniamo richiamati nello studio, troviamo Matilde sorridente, seduta dove era prima, ovvero di fronte alla dottoressa, e sulla scrivania un foglio con alcune parole colorate, scritte in stampatello con la sua calligrafia. "Abbiamo fatto un piccolo lavoro sulle emozioni" ci dice la neuropsichiatra. Poi, rivolgendosi a Matilde: "Adesso vorrei che per ognuna di queste parole mi dicessi - puoi scegliere se dirlo all'orecchio di mamma o a quello di papà - quando succede che ti senti così. Ad esempio: quand'è che Matilde si sente felice?". Matilde, dopo un attimo di esitazione, si avvicina al mio orecchio e sussurra: "Quando il papà mi compra le figurine delle LOL." Io ripeto a voce alta le sue esatte parole, e la dottoressa le annota sotto alla sua prima parola: Felicità. Sul foglio sono scritte altre quattro emozioni, e il gioco va avanti allo stesso modo per tutte le voci annotate. Matilde dà quel tipo di risposte che ci si aspetterebbero da una qualsiasi bambina della sua età, e alcune ci strappano un sorriso. Per la Tristezza ha risposto: quando mi fa male l'orecchio. Con Disgusto ha detto: quando mangio il kiwi. Alla voce Rabbia ha specificato: quando mia sorella mi disturba. Infine, con l'emozione della Paura ha risposto: quando devo andare in camera mia da sola al buio.
I successivi incontri - la dottoressa ci ha proposto finalmente un percorso di sedute a cadenza mensile - sono avvolti dal mistero, perché si svolgono a tu per tu tra lei e la neuropsichiatra. Abbiamo provato a interrogare Matilde, incuriositi, ma lei non lascia trapelare nulla: è un segreto, ci dice. Mi ha concesso soltanto di sapere che fa dei disegni, e fanno attività con alcuni libri. Scopriremo di più nelle prossime puntate. L'importante è che la stiamo vedendo serena nell'affrontare questa novità.

DANZA
Non ne avevo ancora accennato, comunque a settembre Matilde - e anche la sorellina, nel corso propedeutico per i piccoli - ha iniziato a frequentare un corso di danza moderna in una nuova scuola, abbandonando la precedente associazione dove aveva ballato per un paio d'anni. Ha scelto lei stessa di voler iniziare questa esperienza. Un piccolo salto nel buio, rispetto a quello che già conosceva. Non era così scontato che potesse affrontarlo. Alla prima lezione di prova le è piaciuto tutto: la nuova insegnante, le nuove compagne, la nuova palestra, le nuove musiche, i nuovi movimenti. E così l'abbiamo iscritta volentieri, sebbene l'impegno delle ore di allenamento fosse maggiore.
Non ho voluto parlare subito di mutismo selettivo all'insegnante di danza: mi sembrava di andare ad imprimere un'etichetta - non so come dire - eccessivamente medicalizzata, di cui in quel contesto si poteva fare a meno. Errore. L'ho capito dopo. Lì per lì, comunque, in maniera anche frettolosa - perché nell'andirivieni degli spogliatoi si fa fatica a trovare un angolo tranquillo per parlarsi - spiegai all'insegnante di danza la tendenza di Matilde a intimidirsi nelle situazioni nuove, ad avere i suoi tempi da rispettare nelle relazioni, e accennai al fatto che comunque non c'era da forzarla, ma soltanto aspettare che fosse lei ad aprirsi. Mi sembrava, in questo modo, di poter lasciare a Matilde un'occasione aperta, la libertà di provare a spiccare il suo volo verbale.
Invece, nel mio non detto, c'erano tutti gli spifferi dell'incompleta spiegazione, della parziale realtà, dei tasselli mancanti per la comprensione. Così, dopo un paio di mesi, mi decisi a parlare chiaramente all'insegnante. Nella lunga telefonata mi accorsi di quanta sintonia avevo scoperto. Ci siamo capite al volo: mamma anche lei di un bambino poco più grande di Matilde, che ha qualche difficoltà col linguaggio. E' stato bello rendersi conto di questa vicinanza, di questa solidarietà. Da quel momento sento che il rapporto con l'insegnante è migliorato: c'è più fiducia, c'è più collaborazione. Anche lei si rapporta a Matilde in maniera più consapevole: la protegge quando le compagne di danza insistono, in buona fede ma con eccessiva pressione, nel volerla sentir parlare; la loda e la corregge, spronandola in maniera positiva, e spiegandole che la correzione non è una nota negativa ma uno stimolo a migliorarsi; la consola quando la vede smarrita e in lacrime nell'atrio, perché la mamma ritarda a tornare a prenderla al termine della lezione (è successo una volta, mea culpa; ma avere imprevisti da dover gestire credo sia naturale e sano, ci si deve piano piano abituare alle cose della vita, comprese queste).
A proposito di imprevisti, ne è successo uno molto strano il mese scorso a teatro, dove era in scena lo spettacolo di tutta la scuola di danza dedicato a un musical anni venti e alla figura della donna. Era la seconda volta che eravamo a teatro, dopo l'esibizione di Natale. Stava ballando proprio il gruppo di Matilde, quando, a pochi secondi dal termine del balletto, piombiamo nel buio e nel silenzio. Un blackout improvviso. Tutti siamo sorpresi e disorientati. Ci sono voluti quaranta minuti buoni per capire il disguido e risolverlo, però a quel punto l'ora si era fatta troppo tarda per proseguire con il resto dello spettacolo, e così tutto era stato rimandato - e l'intero spettacolo ripetuto poche settimane dopo. In quei frangenti, mentre si era creato sul palco tra le compagne di Matilde un clima da ricreazione, allegro, confuso e festaiolo, lei la vedevo invece piuttosto smarrita e bloccata, seminascosta tra le quinte, non sapendo bene cosa fare. Gli stessi maestri di danza erano increduli e impegnati a capire come gestire l'inghippo. Non era semplice lasciarsi andare a una situazione improvvisa e imprevista. Ma è servito anche questo, ne sono sicura. Rientrando a casa, nel commentare con Matilde la serata, ho ribadito: "Non importa, Mati: più balliamo più ci divertiamo!".

SCUOLA
La seconda elementare è iniziata insieme ad una nuova insegnante di italiano, o meglio, è tornata alla sua cattedra dopo un anno di maternità l'insegnante di ruolo. Come Adelaide in prima, anche la titolare Annalina è molto gentile e disponibile. Davvero, non potevamo chiedere di meglio, e questo è già molto. Al colloquio di novembre, mi mostrano già il nuovo PDP (Piano Didattico Personalizzato) che come l'anno precedente contiene gli strumenti compensativi per sopperire all'esposizione orale in classe, sostituita anche quest'anno con le videoregistrazioni dei compiti di lettura, poesie e tabelline, fatte a casa e inviate via cellulare alle insegnanti. Matilde era già abituata a farle e, pur cambiando insegnante, ha continuato allo stesso modo senza problemi. In quell'occasione, al primo incontro con le insegnanti, ho consegnato loro anche la nuova Guida di AIMuSe, "Momentaneamente Silenziosi", che hanno ricevuto volentieri.
Matilde è sempre serena, ben inserita, con un buon rendimento. Miglioramenti nei mesi trascorsi ce ne sono stati. Primo: ha allargato il suo cerchio di amicizie, inteso come amiche con cui parla all'orecchio - oltre a Giulia, le maestre mi riferiscono che l'hanno sentita sia con Alice, che con Emilia. Secondo: piange di meno in classe, non che piangesse spesso, ma mentre prima la sua reazione di fronte all'errore era quella delle lacrime, ad esempio quando si accorgeva di aver sbagliato una consegna, adesso succede sporadicamente, e anche se la motivazione data da Matilde è ufficialmente il volere la mamma, le insegnanti ormai capiscono che la causa del pianto è la frustrazione, o delusione, di fronte allo sbaglio. Terzo: partecipa sempre di più, alza la mano quando vuole intervenire - poi si alza per andare alla lavagna a scrivere il suo contributo - e le maestre, soprattutto l'insegnante di matematica, Filomena, vedono che ha proprio voglia di interagire, e che "non è una bambina repressa" come testualmente mi ha riferito Filomena.
Tutta la parte dell'ansia, infatti, Matilde non ce l'ha. La nostra psicologa, che incontra un paio di volte all'anno le insegnanti, ci ha confermato che il lavoro da fare è piuttosto sull'ipercontrollo, sul far calare la sua eccessiva attenzione a mantenere il freno tirato, anche sfruttando momenti apparentemente non strutturati, non programmati, che la colgano alla sprovvista, così da disinnescare il suo meccanismo di protezione che è il silenzio. In effetti, in una conversazione che ho avuto recentemente con Matilde, mi ha fatto capire quanto il focus del suo disagio sia spostato su un altro elemento, che non è la paura. Quella sera stavamo parlando - lei mi stava parlando - di un gioco dei Lego che desidera molto, allora ho colto la palla al balzo per provare a negoziare, dicendole: "Vediamo a giugno, Mati, quando finisce la scuola: se continuerai ad impegnarti nelle materie, ad avere bei voti, e anche a fare quella cosa che che non ti riesce ancora bene, parlare con le maestre". Sono consapevole che il sistema di premi-e-punizioni non è consigliato, perché tende a minare ulteriormente l'autostima dei bambini con mutismo selettivo, ma visto che insisteva molto con quel giocattolo, ho voluto provare a forzare per vedere cosa succede. Sull'onda del discorso ho quindi provato a chiederle:
"Cos'è che trovi difficile, Mati? Cosa senti? Paura? Vergogna?"
"Vergogna."
"E pensi che riusciresti a dire qualche parola all'orecchio delle maestre in classe con gli altri compagni, oppure quando sei da sola tu con la maestra?"
"Da sola con la maestra."
"E con quale maestra pensi che potresti iniziare a provare?"
"Filomena."
Le ho fatto capire che non deve fare tutto subito, ma un poco alla volta, un piccolo tentativo, magari. Poi, se si trova bene nel fare quella prima prova, può continuare, sempre facendo un passo dopo l'altro, piano piano. Vedevo che mi ascoltava con attenzione, e sembrava che si stesse figurando l'idea. Le ho fatto capire che in questo modo le insegnanti possono sapere meglio le sue risposte a voce, sapere se hanno spiegato bene, o se c'è qualcosa che lei magari non ha capito e che occorre che la maestra ripeta. Insomma, ho cercato con queste parole di farle un po' capire e immaginare di poterlo fare.
Ma lei ha dichiarato chiaramente il suo intento. O perlomeno quello che potrebbe essere il suo desiderio. O forse è solo un procrastinare un impegno che per il momento non si sente ancora pronta ad affrontare. Un giorno, parlando col papà, che le aveva chiesto appunto se lei se la sentisse di parlare con le maestre, Matilde rispose: "Lo faccio in terza."
Terza elementare: la promessa.

AMICHE
Se la guardi alle feste di compleanno, o nel cortile dove ci fermiamo dopo la scuola noi mamme col gruppo di bimbe, oppure quando invitiamo amiche a casa nostra o lei è invitata a casa loro, non si direbbe che sia una bambina con problemi d'ansia. Anzi. Gioca, viene coinvolta, si butta nella mischia durante i balli di gruppo, corre e si scatena (le è sempre piaciuto il gioco adrenalinico) senza mai risparmiarsi. Certo, tutto senza parole. Ma a volte no. A volte è successo.
Ci siamo accorti però che va spronata. E' come se, dicendole "dai, Mati, non vedi che ci siamo solo noi?", lei ricevesse una sorta di autorizzazione, oppure qualcosa che le dà lo stimolo per rendersi conto che effettivamente può.
Un giorno stavano giocando a "strega comanda colore" nel cortile davanti a scuola, nel punto dove noi genitori facciamo comunella e i bimbi trovano una valvola di sfogo dopo essere stati otto ore in classe. C'era il papà, la sorellina Michela, e Matilde insieme a Giulia. Ognuno diceva il colore, e quando toccava a lei lo sussurrava all'orecchio della sua amica. Al che il papà le dice la frase di incoraggiamento, e da quel momento Mati ha cominciato a dire il colore a voce udibile.
E' capitato poi che, una seconda volta, giocando con un gruppo di amiche un po' più numeroso, Matilde avesse comunque iniziato a pronunciare normalmente il nome del colore da trovare, a tono un po' basso ma comunque a voce, senza usare l'espediente del sussurro all'orecchio; se non che, a un certo punto, una di queste sue compagne, Aurora, frequentatrice meno assidua del nostro ritrovo post scuola, meravigliata dalla novità, è corsa dalla sua mamma ad annunciarle "Mamma, vieni a sentire! Matilde parla!" smorzando immediatamente, come si può ben immaginare, la sua iniziativa.
Devo dire che le amiche tendono, in buona fede certamente, a proteggerla molto. A chiederle le cose proponendole sempre la modalità di risposta gestuale, con il dito su che significa una cosa e il dito giù che significa l'altra. A cercare di intervenire al posto suo quando le rivolgono le domande o quando la maestra le passa il turno di parola. Perché Matilde, sì, alza la mano e chiede così di intervenire. Poi, ecco, va alla lavagna a scrivere il suo contributo, però intanto partecipa.
Però la sua possibilità di fare un tentativo vocale, magari avvicinandosi all'orecchio della maestra, come varie volte viene spronata a fare, risulta, come dire, inibito dall'intervento delle amiche. Questa eccessiva protezione potrebbe rivelarsi controproducente, sebbene sia un atteggiamento da vedere di per sé come benevolo. Occorre invece che Matilde venga stimolata, lasciandola provare.
Ormai tocca a lei, adesso.

SORELLINA
Il rapporto con la sorella Michela di tre anni e mezzo è in generale buono: sono affezionate, si cercano, giocano spesso insieme al gioco simbolico oppure ai giochi in tavola, condividono molto. Certo, Matilde, a volte, dice che sarebbe bello non avere una sorella, mentre quella invece le fa le moine tutta affettuosa dicendole tu sei la mia sorellina, ti dò un bacino!
Michela sta crescendo, e crescendo si accorge di quello che fa la sorella, dei suoi comportamenti, e anche del suo silenzio che si manifesta in certi contesti, ovviamente non quello scolastico, perché la piccola non sa come sia Matilde in classe, ma a casa dalla nonna paterna sì (Matilde aveva smesso di parlare coi nonni paterni più di due anni fa, non abbiamo mai saputo il motivo; poi morì il nonno paterno ed è rimasta solo la nonna) o in presenza degli zii materni.
Ci sono stati due episodi in cui Michela ha rivolto a noi adulti la famosa domanda sul perché. La prima volta era a casa di mio padre, io ero uscita con la mia amica a cena - una delle poche volte che riesco a dedicare tempo alle uscite - e le bimbe erano rimaste con la zia Patty, sorella di mia mamma. Lì, in bagno, mentre si stavano preparando per la notte, la piccola chiede alla zia: "Ma cos'ha fatto la Mati?". Matilde era già andata in camera. La zia, pensando si riferisse a quello che la nipote aveva fatto poco prima in bagno, ha risposto: "Ma niente, Michi, ha solo fatto la pipì!". Non era quello, però, l'argomento che intendeva, e infatti ha replicato: "No! Perchè Matilde non parla?". Al che, presa in contropiede, la zia ha abbozzato la risposta che tutti noi adulti abbiamo imparato a dare quando ci viene rivolta la fatidica domanda. Ascoltata la spiegazione, che a volte capita che la voce faccia fatica a uscire ma che poi quando se la sente riesce perfettamente a parlare eccetera eccetera, Michela ha sentenziato: "Io ce l'ho la voce!" quasi come a volersi differenziare, o comunque ribadire uno stato di fatto.
La seconda volta Michela era con me, in casa nostra, mentre le stavo riepilogando l'organizzazione di quella giornata, in cui ero impegnata in un incontro referenti A.I.Mu.Se., per cui le bambine sarebbero andate col papà dalla nonna paterna e noi ci saremmo riviste il giorno dopo. "Allora, Michi, il papà vi accompagna tu e Mati dalla nonna, e poi noi ci vediamo domani". "Ma Matilde dalla nonna non parla!". Lo sa. Sì. Se n'è accorta. Mica è tonta. E quindi cosa le dico? Le dico quello che dico ogni volta. Correggo la versione: dico che è vero, ma smentisco, non sempre lo fa, solo a volte, quando non se la sente, eccetera eccetera. L'avrò convinta? Non mi sembra molto. Allora mi viene un'idea. Glielo spiego con "La Fragolina di Nicholas", la storiella raccontata da Daniela Conti per spiegare il mutismo selettivo ai bambini, che è anche il titolo appunto del suo libro. E così comincio a dirle: "Sai, è come se Mati, a volte, avesse una specie di fragolina, qui, nella gola, che non fa uscire le parole...". Michela mi guarda col sopracciglio alzato e mi fa: "Una fragolina???" col tono di chi chiede machestaiaddì? Mamma, tu non me la racconti giusta, dì la verità! L'avrò impressionata? Dopo ho cercato di recuperare, spiegando meglio, ma intanto chissà che idea si sarà fatta.
Parlandone con la psicologa che ormai da due anni e mezzo ci segue, il consiglio è quello di rispondere a Michela e alla sua domanda sul perché, con la cosa più ovvia che a noi non era venuta in mente, dicendole: chiedilo a Matilde. Ormai la piccola ha un'età in cui la curiosità è il motore della crescita, quindi è giusto che possa rivolgere alla sorella maggiore le sue domande, e Matilde a sua volta deve essere consapevole - noi glielo dobbiamo dire - che è già in grado di fornire risposte alle curiosità della sorellina. 
Sono convinta che Michela possa essere sempre più una risorsa per Matilde, in questo percorso verso la voce. In che modo, è ancora da vedere, ma si sta pian piano dimostrando un potenziale pungolo per non permettere troppo a sua sorella di adagiarsi nella sua comfort zone silenziosa.


Come dicevo, Matilde ha perso una nonna speciale, una nonna con cui aveva un rapporto davvero stretto e soprattutto denso di relazione, di complicità, di affetto e voglia di viversi. E, aspetto ulteriore ma non da meno, ha perso una persona con cui parlava. Non siamo tanti, in questa stretta cerchia di famigliari che conoscono la versione "chiacchierina" di Matilde. Siamo rimasti in quattro: mamma, papà, sorella e nonno paterno. 
Probabilmente dispiace più a me, che a mia figlia. Ma è comprensibile.
Eppure anche da questo, da eventi spiacevoli, o semplicemente intensi, si può imparare. 
E un libro che può insegnare, o meglio, che può far riflettere, è un librettino snello e agile, che contiene pillole di saggezza e immagini che spiegano ancor più delle parole. Il protagonista è un pulcino, e il titolo è Lezioni di Volo
La nostra psicologa ce lo ha suggerito, per proporre a Matilde di leggerlo insieme e sceglierne una frase, quella che le piace di più, per poi scriverla su un foglio e illustrarla.
"Spesso troviamo un amico quando meno ce lo aspettiamo" è la frase scelta da lei.
"A volte cadere ci aiuta a liberarci del superfluo" è invece la mia.



domenica 10 marzo 2019

Una farfalla volata per il suo viaggio

Questo blog ha avuto un brusco arresto.
Perché c'è stato un forte strappo, un vuoto. Una mancanza, che ancora non sembra reale.
Dopo otto mesi di sofferenza, di dolore indomabile e continuo, di tribolazioni tra farmaci e dottori, il brutto male che ha aggredito così pesantemente mia madre se l'è portata via così, nel giorno di San Valentino.
Faccio ancora fatica a rendermene pienamente conto, a realizzare che è successo veramente, perché la sua presenza è ancora così forte, così diffusa in ogni cosa, in ogni traccia che ha lasciato. Le conversazioni scritte con i suoi amici e amiche sui social, gli appunti sulla sua agenda, la programmazione sul calendario della terapia di cannabis, che purtroppo non è proseguita secondo le sue previsioni...
Ho vissuto con lei i suoi ultimi momenti, quella notte a vederla addormentata a causa della morfina, intubata con l'ossigeno, inerte e sempre più debole, è un'immagine di così grande impatto che mi rimane costantemente davanti agli occhi.
I giorni precedenti al suo ricovero finale, le visite in ospedale, le nostre chiacchierate.
Gli sguardi. I sorrisi. Gli abbracci.
Le parole. I silenzi. Pieni di sentimenti, di groppi in gola, di lacrime che scendono piano.
Quell'ultima notte, la paura di affrontare la realtà, quello che sarebbe arrivato, e intanto continuare tenerle la mano, continuare a parlarle, perché voglio credere che, pur non essendo più cosciente, abbia avvertito comunque qualcosa... una vicinanza...
La ringrazierò sempre, come ho fatto più volte parlandole nella stretta di un abbraccio, per tutto quello che mi ha dato. Anche in questi momenti estremamente difficili, ha dimostrato una forza e una consapevolezza fuori dal comune, mantenendo in ogni occasione il suo bel sorriso e anche l'ironia del suo essere scherzosa e allegra.
Non sono mancate ovviamente fasi delicate di sconforto, in cui, oltre al suo corpo, anche la sua anima arrivava ad essere davvero sfinita e avvilita.
Vederla soffrire senza poter fare nulla per aiutarla è stato un enorme dolore. E vederla andarsene senza poterla salvare è stato un qualcosa di terribilmente lacerante, però lo sarebbe stato ancor di più continuare a vederla in quelle condizioni ormai impossibili da sopportare.
Era - quanto è difficile parlare di lei al passato - una donna straordinariamente in gamba: profonda e leggera allo stesso tempo, salda, tenace, ma anche sensibile, dolce, gentile con tutti. Amata e stimata da colleghi, amici e conoscenti del paese. E da tutti noi famigliari. Perché era il pilastro della nostra famiglia, il nostro punto di riferimento. Era un po' la mamma di tutti, su di lei si poteva fare affidamento per tutto ciò di cui si aveva bisogno: ascolto, aiuto, condivisione. Ci teneva talmente tanto alle sue relazioni con gli altri, che le era dispiaciuto enormemente rendersi conto, negli ultimi giorni in cui il male ormai la stava vincendo, di non essere più in grado di rispondere ai messaggi che le arrivavano sul telefono. Si prendeva a cuore tutto e tutti. Il suo cuore era grande e bello.
A volte questa sua tendenza a mettere gli altri prima di se stessa, finiva per essere a suo discapito, perché pur di essere presente per loro, era disposta a mettere da parte i suoi bisogni.

Ho avuto il duro compito di doverlo dire alle mie figlie, anche se non è stato alla fine così difficile come me lo aspettavo.
Mi hanno vista piangere e giù di morale, soprattutto quell'ultima sera, quella in cui mi arrivò la telefonata della zia che mi avvisava di precipitarmi subito, perché le condizioni di mia mamma stavano anche loro precipitando, e i medici ci avevano detto che non sarebbe arrivata al mattino. Io e le bimbe eravamo a cena da sole in casa, e Michela, la piccola di tre anni e mezzo, vendendomi così affranta in lacrime, mi chiese:
"Mamma, perché sei triste?"
"Perché la nonna sta molto male: come vi dicevo, le medicine potenti che i dottori le stanno dando per provare a guarirla non riescono a farla guarire, perché il brutto male che le è venuto è più forte delle medicine, purtroppo, e lei si addormenterà per sempre..."
Qui ho notato le reazioni diverse delle due bambine. La piccola, molto più emotiva, o almeno quella che mi esterna di più le sue emozioni, mi ha detto:
"Oggi è una bruttissima giornata, mamma. Sono triste. Ti voglio bene."
Mentre Matilde, sette anni e mezzo, di una sensibilità direi quasi razionale, o più sottile e nascosta, ha voluto andare dritta al concetto fondamentale che le mie parole cercavano maldestramente di esprimere, dicendomi:
"Allora, mamma, lei morirà."
Con un tono a metà tra la domanda in cerca di conferma e la dichiarazione di una sentenza definitiva.
Ho dovuto confermarglielo. Poi sono partita per Ferrara, verso l'hospice dove era ricoverata da poco, per stare accanto a lei in quelle che facevo fatica a concepire come le sue ultime ore, fino a vedere il suo ultimo respiro.
Non riesco mai a capire, a sondare fino in fondo, i sentimenti di Matilde. 
Ne ho avuto conferma qualche sera dopo il funerale - le bambine hanno partecipato al funerale, come da parere concordante con la nostra psicologa, per dare loro la possibilità di chiudere il cerchio, di vivere il proprio dolore, di permettergli di esprimere i loro sentimenti e dare loro il messaggio che un grande momento doloroso come questo lo si vive, lo si attraversa, poi lo si supera e se ne esce, perché il dolore esiste nella nostra vita, non lo dobbiamo negare, ma affrontare e uscirne, perché la vita poi continua a scorrere nella sua quotidianità, tra scuola, lavoro e impegni, e dobbiamo vivere questi momenti senza farci sopraffare da essi - dicevo, qualche sera dopo, parlando con Matilde, le ho chiesto come si sentisse per il fatto che la nonna non ci fosse più.
Lei mi ha risposto: bene. Allora le ho chiesto se non fosse triste o dispiaciuta. Risposta: no. Allora mi sono accertata se le volesse bene. Stavolta sì, mi ha detto. Ho risposto che anche la nonna gliene voleva tanto. 
Ecco, mi ha lasciato un attimo interdetta, da un lato, ma dall'altro anche sollevata, per il fatto di essermi sembrata serena, non scossa, né traumatizzata. Del resto, la psicologa mi aveva rassicurata, o meglio, non tanto me  - perché io ero già favorevole all'idea della partecipazione delle bimbe al funerale - quanto il loro papà, rispetto al fatto che assistere a una cerimonia del genere non avrebbe rappresentato un trauma per le piccole.
La sera prima del funerale, quando rincasai dal babbo e dalle nostre bimbe, dopo essere stata due giorni a Ferrara da mio padre a sbrigare con lui le questioni pragmatiche e burocratiche in un clima surreale di sconcerto, spiegai alle mie figlie quanto era successo, nel modo suggeritomi dalla psicologa.
L'immagine del bruco e della farfalla.
"La nonna non c'è più, bimbe. E sapete cosa succede alle persone che si addormentano per sempre? E' come quello che fanno i bruchi quando diventano farfalle: lasciano lì il loro bozzolo, che sarebbe come il nostro corpo, e volano via come farfalle, per il loro viaggio, non sappiamo bene dove. Ecco, la nonna è volata via per il suo viaggio, non sappiamo bene dove. Ma possiamo ricordarla, così la sentiremo vicina, e guardarla nelle foto e nei video, e parlarle e mandarle dei baci, così, verso il cielo."
Michela ha iniziato a ripetere con me la storia della farfalla, anche lei come a trovare conferma di aver compreso bene, e a lanciare baci in aria con la sua manina. Ha voluto mettere sul suo comodino una piccola cornice con la foto della nonna, che mi ha detto di piacerle molto, e che quasi ogni sera bacia prima di addormentarsi. 
Matilde, durante la spiegazione della farfalla, era attenta e annuiva, per darmi un riscontro di comprensione. Però non ha commentato l'accaduto. Probabilmente ha bisogno, come in tutte le cose, dei suoi tempi di reazione, di assimilazione e di elaborazione. Com'è giusto che sia. 

Ormai è quasi passato un mese e non mi sembra ancora vero. 
Ho cercato risposte, ho cercato conforto, ne ho ricevuto, ma non c'è una quantità sufficiente a riempire pienamente il bisogno. Ho trovato anche un video, mai visto prima, di una psicologa, che racconta del lutto, e che mi è sembrato comunque molto vicino al mio modo di sentire. 
La sento ancora così presente, sento la sua voce mentre mi parla nelle nostre chiacchierate, a volte mi vado a rivedere i suoi video, trovo le tracce delle sue conversazioni online, cose che non sapevo di lei, agende del '73 con i suoi appunti, racconti che non sapevo avesse scritto, e mi piace questo scoprire quello che è un suo mondo passato: è un modo di continuare a sentirla con me, di continuare a conoscerla.
Per questo, voglio che il suo ricordo viva in una forma speciale per noi famigliari e amici, e soprattutto per le bambine, che potranno conoscere la loro nonna ormai soltanto attraverso il suo ricordo: quello che noi, che io, farò di lei. Forse nascerà un libro, forse nascerà una storia, per ricostruire com'è stata la sua avventura nella vita, com'era il suo carattere, cosa ha imparato, e cosa ci ha insegnato. 


martedì 20 novembre 2018

Perle

Lascerò spazio qui ad alcune pillole, alcuni spunti e parole, che possono essere utili per un'ulteriore occasione di riflessione. 

Il primo è un video molto bello, profondo, delicato. Si tratta di una produzione francese, che può essere vista coi sottotitoli in italiano, e si chiama: Il pentolino di Antonino (Le petite casserole d'Anatole).
Racconta, attraverso la storia del bambino protagonista, di come il proprio problema, la propria difficoltà, possa sembrare un peso fastidioso, un ostacolo insormontabile, un fardello troppo grande, che col tempo diventa gigantesco, e in cui ci si finisce per rinchiudere. Ma alla fine, chi riesce a vedere oltre, chi ti vede per quello che sei, può aiutarti veramente a gestire la difficoltà, e farti uscire dal buio. Perché, anche se da quella cosa non riuscirai mai a liberarti, puoi imparare ad accoglierla, a metterla nel tuo bagaglio di vita, senza che ingombri o pesi troppo. 

Il secondo, o meglio, i secondi, sono articoli ben fatti, che fanno comprendere più a fondo cosa significhi da un lato vivere il "momentaneo silenzio" che blocca le parole in gola, e dall'altro trovare modi giusti per interagire e provare a disinnescare quel meccanismo automatico di difesa. Uno parla del mutismo selettivo attraverso un'intervista alla Dr.ssa Emanuela Iacchia, l'altro invece riguarda la nuovissima Guida di A.I.Mu.Se. Associazione Italiana Mutismo Selettivo, pubblicata recentemente dalla Franco Angeli.

Terzo: la riflessione di uno psicologo, che collabora attivamente con l'Associazione nel progetto delle "vacanzine" terapeutiche, sul disturbo rappresentato nelle sceneggiature cinematografiche. Un riferimento insolito, il suo, perché non immediatamente riconoscibile, come lo è invece nella più volte citata sequenza di Sole a Catinelle, il film di Checco Zalone. Il Dott. Marino, invece, parla della ragazzina della serie Stranger ThingsUndici. Per molti aspetti, una storia di superpoteri, paura, silenzi e coraggio, che si avvicina molto al percorso verso la voce dei bambini con mutismo selettivo. Una storia di amicizia, e della forza dei legami. 

L'ultimo articolo, in questo spazio, è quello che racconta l'incontro presso la Commissione consiliare del Comune di Bologna, che ha accolto e ascoltato l'Associazione, con la prospettiva di unire le forze e dar vita a nuove iniziative per coinvolgere insegnanti, genitori, specialisti, nel riconoscimento del mutismo selettivo e della possibilità di dar voce al silenzio di questi bambini e ragazzi. 

Infine, lascio qui una frase, che da quando l'ho sentita è diventata un mantra, per me. Una frase-simbolo. Da scolpire nella pietra e ricordarsi per sempre, costantemente. Perché la trovo molto vera. L'ha detta un'insegnante, che ho avuto il piacere di incontrare in occasione degli incontri di A.I.Mu.Se. e che chiude ogni volta il suo intervento - in cui racconta della sua esperienza vent'anni fa con un'alunna mutoselettiva - con questa perla.

"Le parole non sono sempre il mezzo per entrare in relazione, talvolta ne sono la conseguenza". (Loretta Finch, insegnante)