sabato 29 luglio 2017

Ride Maty ride!

"E il mio cavallo è tutto nero. Si chiama Topolino".
"Ma che bello! E tu salivi sopra alla sella?"
"Sì, e poi ci mettevano anche un'altra cosa, tipo copertina, nella pancia. Sai come si chiama?"
"Mmm, no, io conosco solo la sella, le briglie..."
"Si chiama sottopancia!"
"Ah, giusto. E mettevi anche i piedi nelle... come si chiamano? Staffe?"
"Sì. E mettevo anche il caschetto".
"Per non farti male se cadi, giusto. Ma lo spazzolavi pure, il cavallo Topolino?"
"Solo fin dove arrivavo..."
"Già, fin dove arrivi... Senti, ma il tuo cavallo ha fatto anche la cacca?"
"No! L'ha fatta l'altro cavallo, quello del bambino. Sai come si chiama?"
"No..."
"Horus! Che è tutto nero con una macchia bianca sul muso".
"Ah, bello!"
"E poi l'altro cavallo si chiama Calimero. Lui è tutto tutto nero invece".
"Proprio come Calimero, il pulcino nero!"
"Sì! E sai dove stava Topolino nella stalla? Vicino a Calimero, ma non vicino di fianco, nella fila dall'altra parte..."
"Ah, di fronte".
"Sì, ma Topolino era il primo e Calimero l'ultimo. E poi c'era una stanza dove ci sono tutte le cose che servono per i cavalli..."

Mi piace quando Matilde mi racconta le cose.
Mi piace davvero, e glielo dico.
Lei mi fa quello sguardo e mi sorride.
Sor-ride. Ride come "to ride", cavalcare, in inglese.
Sì, perché quello di cui parliamo è la settimana che ha trascorso al centro estivo equestre, e che si è da poco conclusa. 
L'idea del centro estivo è stata della nostra psicologa. Noi non ci avevamo mai pensato finora: ogni estate io e il papà ci organizziamo per tenere le bambine in modo tale da non averne bisogno. Appena ce lo ha proposto, invece, abbiamo subito trovato più che giusta la motivazione: spezzare il lungo periodo vacanziero con un'esperienza nuovamente a contatto con coetanei e altri bambini, con cui condividere attività e giochi. 
L'idea di abbinarlo ai cavalli è venuta a me, non appena ho visto il volantino delle proposte per i centri estivi. Quella cavalcata di Matilde di qualche anno prima sul pony "Biscottino" è rimasta per lei un'esperienza entusiasmante.
Matilde, ti piacerebbe andare qualche giorno in una specie di scuola estiva dove ci sono i cavalli e vi fanno cavalcare? Le piacerebbe.
Bene, andiamo a prendere informazioni. Arriviamo al maneggio segnalato dopo aver percorso diversi svincoli e stradine strette di campagna. Siamo solo io e il papà, il posto ci sembra bello, troviamo la referente sotto il grande capannone aperto dove liberano i cavalli sul terreno sabbioso. E' Sara, una ragazza giovane e grintosa, tatuaggi e piercing, già madre di tre figlie quasi adolescenti. E' una delle "insegnanti" del centro estivo, quella che si occuperà anche di Matilde per le cinque mattinate che vogliamo prenotare. Mentre parliamo - io le chiedo se ci sono disponibilità di posti, lei mi racconta come si svolgerà la giornata, io domando cosa occorre portare, lei mi dà tutte le indicazioni - in realtà io penso a come devo dirglielo. 
Cosa le dico della difficoltà di Matilde? Del suo mutismo selettivo? Come glielo spiego, senza risultare troppo didascalica o prolissa?
E' questo l'aspetto che mi mette più ansia, appunto. Il dover informare gli altri, coloro che avranno a che fare col silenzio di Matilde. Perché non so come reagiranno, se riuscirò a far passare il giusto messaggio, se saranno collaborativi oppure se non capiranno la questione. 
Il consiglio della nostra psicologa mi viene ancora una volta in aiuto: dille semplicemente che è una bambina piuttosto timida e, se non risponderà, di non insistere nel richiederglielo
Sì, ok, facile. Ce la posso fare. 
Ma quando siamo lì, no, non mi viene, allora rimando, e mi dico: ok, glielo dirò appena si presenta l'occasione, quando magari inizierà, adesso è ancora presto. 

La prima mattina arriva, e ad accompagnare Matilde andiamo tutti: mamma, papà e sorellina. Mi sembra entusiasta, curiosa e pronta a scoprire questa nuova esperienza.
Entriamo nella stanza dell'accoglienza, ci sono anche altri bambini. L'atmosfera è rilassata, la campagna mette un senso di pace. 
Ci salutiamo e presentiamo. A sua volta, Sara ci presenta gli altri "compagni" del centro: due gemelle di circa nove o dieci anni, sue figlie, un'altra bambina di poco più grande di Matilde, e un ragazzino. Si guardano a vicenda, ma nessuno parla. 
Il papà stempera il silenzio e l'imbarazzo con una battuta: "Non siamo molto chiacchieroni, noi!"
"Tranquilli, anche qui non lo siamo!" risponde dall'altra parte la nostra referente.
Tiro allora un sospiro di sollievo. Bene, questo mi rassicura: so che c'è una persona comprensiva ad avere a che fare con Matilde.
Dopo un breve scambio di altre informazioni, la salutiamo e mentre ci allontaniamo vedo già una delle gemelle che la prende per mano. 
Dentro ho un miscuglio di sensazioni: timore, speranza, dubbi, curiosità, paura, fiducia.
Tutto si scioglie col primo riscontro positivo. La prima giornata - mi riferisce il papà mentre sono al lavoro - è andata benissimo. 
E ne ho ulteriore conferma la mattina dopo, quando Matilde la accompagno io. 
"Ciao! Buongiorno!"
"Ciao Matilde! Vieni qua!" 
E' Greta, la gemella che si è subito affezionata a mia figlia, ad accoglierla appena arriviamo.
Poi, rivolta a me, dice: "Sai che Matilde parla solo con me?"
Sono sorpresa e contenta: mi fa piacere che in un solo giorno abbia familiarizzato già con una delle bambine. 
Scambio due parole anche con sua mamma. Sara mi conferma che va tutto bene, è brava e le piace fare le attività coi cavalli, ma - e c'è sempre quel ma - "mi fa strano che non parli, non parla proprio".
Sì, lo so. Penso allora di cogliere la palla al balzo per accennare alla questione, poi però mi accorgo che Matilde e la altre bambine sono ancora intorno a noi, quindi preferisco rimandare, e lì per lì, al posto di tutto quello che vorrei dire, mi esce soltanto un VascoRossiano "eeeh". 
L'occasione di approfondire un po' di più arriva - e quando sennò? - proprio l'ultimo giorno. 
L'ultimo giorno accade anche una cosa strana. Finora è andato tutto bene, soltanto il giorno prima è successo che a Matilde sia venuto da piangere perché le era venuta nostalgia della mamma. Ci sta. A scoprire il motivo delle lacrime è stata proprio Greta, la sua portavoce. Dicevo, accade una cosa insolita ma in fondo comprensibile, che avevo già visto e vissuto sicuramente in qualche altra occasione, ma che in quel momento mi ha colto di sorpresa.
Quella mattina arriviamo al maneggio un po' in ritardo; il gruppetto di bambini si stava già avviando lungo la stradina che porta ai cavalli. Io saluto Matilde, che si va a unire subito a loro, e mi fermo più indietro a parlare con la referente. Ho con me lo zainetto che preparavo tutti i giorni per mia figlia, con acqua, crackers e fazzoletti, e lo do a Sara, che lo avrebbe posato come sempre sul tavolo della sala d'accoglienza. 
Mentre stiamo parlando, mi volto e vedo Matilde che corre verso di noi. E sta piangendo. Continuando di corsa e coi singhiozzi, strappa di mano all'insegnante il suo zainetto e fugge via velocissima per raggiungere di nuovo il gruppetto. Io la rincorro e la chiamo, voglio sapere che cosa le è successo, anche se lo so già, ma lei niente, va avanti e si ferma solo quando Greta le va incontro e l'abbraccia. 
Torno indietro verso Sara, allargando le braccia, perplessa e rassegnata. Voleva lo zainetto, e quando vuole qualcosa senza riuscire a dirlo, anziché le parole, le escono le lacrime.
"Ma stava piangendo" mi fa lei.
"Sì, ma non so cosa le sia preso, voleva lo zainetto. Adesso mi sembra già tutto passato. A volte fa così, mi hanno detto che anche ieri piangeva perché voleva la mamma..."
"Sì, ieri ho visto che tutto d'un tratto è scoppiata a piangere, poi Greta le è andata vicino e Matilde le ha detto che era per quel motivo. Il fatto è che proprio non parla..."
"Sì, infatti ci stiamo lavorando, su questo suo mutismo selettivo. A casa ci racconta tutto, ma a scuola, in tre anni di materna, per dirti, non ha mai parlato con le maestre. Con alcuni compagni sì. Comunque, è una cosa per cui ci vorrà il suo tempo. Mi stavi dicendo della prossima settimana, allora?"
"Sì, viste le richieste che abbiamo ricevuto, prolungheremo di un'altra settimana il centro estivo. Se vi va, fatemi sapere se ci sarete!"
"Sì, d'accordo, grazie. Ne parlerò e ti saprò dire entro stasera!"

Proposta bocciata.
"Matilde, ascoltami, ti devo chiedere una cosa. La scuola dei cavalli sarebbe finita, oggi era l'ultimo giorno, ma Sara mi ha detto che la faranno ancora la prossima settimana. Tu vorresti tornarci per altri cinque giorni, oppure sei stanca e vuoi stare a casa? Scegli quello che vuoi, senza problemi".
"Sono stanca..."
"Va bene, allora staremo a casa. Ma ti è piaciuto andarci?"
"Sì!"
E questo è l'importante. 
Un piccolo bagaglio in più, con cui continuare il tuo percorso sul cammino della crescita.

 




lunedì 3 luglio 2017

Rispettare il silenzio

Il silenzio spiazza. 
Il silenzio mette a disagio.
Il silenzio fa paura. 
Perché fa cadere nel vuoto le parole. Ti fa affacciare al bordo di uno spazio diverso. 
Ma non necessariamente fatto di assenza. Uno spazio che è altro, un universo che ha le sue regole, la sua pienezza. Un mondo da scoprire. 
La vertigine spaventa. Ma solo superandola puoi vedere oltre. Puoi sentire oltre. 
Perché il silenzio ha la sua voce. Il silenzio parla.

Sta per finire la scuola, ma non solo: sta per finire un ciclo, quello della scuola materna.
Matilde continua ad essere la bambina dolce, serena e giocosa di sempre. 
Alla festa di fine anno ha partecipato coi suoi compagni alle coreografie preparate dalle maestre, sempre precisa e impeccabile. E anche molto disinvolta. Quando si tratta di muoversi con il corpo lei è sempre in prima linea. Le piace molto.
La nostra psicologa ci ha infatti consigliato di continuare a proporle attività che la coinvolgano sul piano corporeo, che le possano dare possibilità di espressione senza dover utilizzare per forza il canale verbale per comunicare.
Alla festa di fine anno è successa anche un'altra cosa: abbiamo fatto una sorpresa per le maestre, che è stata una sorpresa per tutti. Da un suggerimento azzeccatissimo della nostra psicologa, ho proposto alle mamme di realizzare, come regalo di fine anno alle maestre, un videomessaggio collettivo di tutti i bambini della classe coi loro saluti alle insegnanti. L'idea ha avuto successo: ogni genitore ci ha inviato il filmato fatto al proprio figlio e, dopo averli raccolti tutti, il mio compagno ne ha fatto un ottimo video editing, aggiungendo musiche di sottofondo e bellissimi effetti grafici. 
Potrebbe essere un modo - ci diceva la nostra terapeuta - di far entrare la voce di Matilde nell'ambiente scolastico, mediata in questo caso da un video, in un contesto però in cui non sia lei l'unica ad esporsi, sottolineando così nuovamente la sua "diversità", ma che sia invece sullo stesso piano di tutti gli altri bambini, in una situazione in cui a tutti è richiesto di fare la stessa cosa.
Il nostro grande papà però ha una marcia in più: ha avuto una magnifica trovata. Io avevo preparato un semplice testo introduttivo, che avevamo inizialmente fatto scorrere sullo schermo, accompagnato da uno sfondo musicale. Invece lui ha pensato: proviamo a farlo recitare a Matilde! Quel giorno mia figlia era particolarmente disponibile a collaborare, il mio compagno le ha proposto la cosa, e lei ha accettato volentieri di ripetere e farsi registrare. E' bastato poi qualche ritocco nel montaggio et voilà: la voce di Matilde fuoricampo che "legge" il testo, mentre scorrono le parole sullo schermo.
E così, quella sera, dopo tutte le esibizioni e la cerimonia della consegna delle pergamene ai bambini dell'ultimo anno, ci siamo raccolti tutti nel grande atrio, davanti alla lavagna multimediale, per annunciare la sorpresa. L'incredulità e la meraviglia che spunta nei visi quando inizia il video con una vocina delicata e misteriosa che recita: "Care maestre, un altro anno è trascorso e siamo cresciuti tanto, anche grazie a voi. Abbiamo vissuto insieme condividendo risate e fatiche, con la gioia d'imparare gli uni dagli altri...". Un brusio di sottofondo che domanda di chi sia quella voce. Che emozione negli occhi delle maestre! E soprattutto lo stupore negli altri compagni. 
Erano tutti radunati a terra, seduti vicini. Matilde era tranquilla e felice di stare in mezzo a loro; ha soltanto abbassato la testa per l'imbarazzo di vedersi durante i suoi dieci secondi di video. 
Credo che questa cosa abbia fatto bene a lei, ma di più ai suoi compagni. Perché - confrontandomi anche con la psicologa - per lei ha potuto rappresentare una sorta di "rivincita", qualcosa di cui esserne orgogliosa. Gli altri bambini, invece, hanno potuto avere una dimostrazione diretta, una risposta immediata alle loro domande. Hanno potuto conoscere - seppure per un attimo - la Matilde che conosciamo solo noi sei, due genitori e quattro nonni.
Emma, una delle sue compagne, durante la cena di classe, mentre eravamo tutti nel cortile del locale in attesa della pizza, mi fa, riferendosi a Matilde: "Lo sai che qualche volta ci parla nelle orecchie? E che una volta ha pianto perché le mancava la forchetta per mangiare!" Scoprire qualche retroscena della vita scolastica è davvero qualcosa di prezioso: conoscere le dinamiche che si instaurano in classe mi fa capire meglio com'è mia figlia.
E poi c'è da dire che i bambini, in generale, sono molto più semplici, autentici e spontanei. Hanno un'altra visione delle cose: ai loro occhi, una difficoltà che a noi sembra insormontabile, semplicemente non esiste, perché trovano altre risorse per gestirla e superarla. 
Non diventa un problema, ecco. 
Sanno stare con le diversità, in modo molto naturale.
Invece gli adulti trovano sempre l'occasione per sottolineare, far notare, ricalcare le differenze. E così mi sento infastidita ancora una volta dal commento di una mamma, non una qualunque o una estranea, ma una alla quale avevo avuto modo di spiegare nel dettaglio tutto il nostro percorso. Capisco che i commenti vengono fatti con assoluta buonafede, ci mancherebbe, ma mi chiedo cosa possano aggiungere, cosa possano significare... Sono semplici battute, certo, che però io non riesco ancora a ignorare. 
"Matildeee! Matildeee! Ma lo sai che io ho sentito la tua voce?!"

Per quanto uno lo provi a spiegare, lo provi a capire, lo provi a studiare, ne abbia conoscenza e competenza, non riuscirà mai a sentirlo, a provare come ci si senta. 
Il mutismo selettivo è un'esperienza
Un'esperienza personale
Questa affermazione mi ha colpito in modo particolare, ancora di più perché l'ha detta una ragazza speciale, che è anche la referente regionale dell'Umbria della nostra associazione A.I.Mu.Se. Ed è una ex-muta selettiva, che ha superato nel corso della sua adolescenza questa difficoltà.
Durante la riunione di noi referenti, che si è tenuta a Bologna a fine aprile, a seguito del convegno nazionale dell'Associazione, si parlava di come ci sia a volte, nei ragazzi più grandi, una consapevolezza diversa e a volte un vero e proprio rifiuto dell'aiuto terapeutico. E in un certo senso è comprensibile. 
Entrare "a gamba tesa" in questo aspetto è una forzatura non priva di conseguenze. Si tratta comunque di una fase del vissuto di quella persona. 
Che non va sottovalutata, ma nemmeno rimossa. 
Occorre rispettarla
Ed è anche per questo che sono contenta dell'approccio terapeutico che abbiamo intrapreso, perché tiene proprio conto di questa visione, che io, personalmente, condivido.