giovedì 9 febbraio 2017

Vivere le emozioni

Un altro passo in avanti. Da parte sua.
E un'altra scoperta importante. Da parte mia.
Matilde, ogni volta che non me lo aspetto, mi sorprende.
E allora io capisco molte cose.
Capisco che devo essere fiduciosa. Stare tranquilla e smettere definitivamente di preoccuparmi.
Non ce n'è bisogno: me lo dimostra lei. Con i fatti, con quello che fa, con il suo comportamento, è come se mi dicesse: mamma, io aspetto solo le occasioni giuste per me, per sentirmi in grado di lasciarmi andare.
Ed è così.
Un episodio recente lo fa capire più di mille spiegazioni.
La accompagno a scuola, un mattino come gli altri. Anzi, no. Siamo in ritardo e corriamo per entrare in tempo negli ultimi cinque minuti. Matilde è particolarmente eccitata, perché finalmente esaudisco un suo desiderio: quello di portare in classe un CD musicale che le piace molto. Lo vuole far ascoltare alla sua amica del cuore. E' emozionata per questo, per il fatto di condividere un qualcosa a cui tiene.
Mentre la aiuto a spogliarsi nell'atrio della scuola, mi indica la bacheca della sua classe, dove vengono sempre affissi i lavoretti della settimana, giorno per giorno, realizzati da qualche bambino, a turno. Questa volta c'è il suo. Anzi, ce ne sono due, visto che è venerdì e la settimana è quasi finita.
L'atrio è ormai vuoto, tutti i bambini sono già entrati, noi siamo gli ultimi.
Dalle porte aperte delle varie classi si sente il vociare forte di bimbi e maestre. In qualsiasi istante potrebbe comparire qualcuno.
Ma in quel momento siamo sole.
"Cosa vuoi farmi vedere, Matilde? Ah, ma è il tuo disegno! Che bello! Vediamo: che cos'è? La lettera U!"
"Mamma, guarda, ho fatto anche l'uva!"
"Ah è vero! E quell'altro là? E' sempre tuo, che brava!"
"Sì, e ho messo anche l'1!"
Lo dice a voce udibile, chiaramente e distintamente. Io sono a un metro da lei.
Stiamo conversando normalmente, come facciamo a casa.
Solo che siamo nell'atrio - vuoto - della scuola. Luogo in cui la voce non era mai uscita in questo modo, nemmeno per sbaglio. I primi tempi il silenzio era quasi totale. Ultimamente ha preso a sussurrare, un po' alle amiche, e a me, per dirmi le cose all'orecchio o naso contro naso, coprendosi con le mani, oppure coi miei capelli. 
Invece, quel giorno, le parole sono uscite. Così. Naturalmente. 
Cos'è stato a permetterle di farlo? Quale chiave si è mossa dentro di lei?
Io l'ho vista estremamente radiosa, contenta. Sciolta. Talmente tanto che - forse - non aveva più altri pensieri. Il pensiero del controllo. Ha spostato l'attenzione da quello. Era completamente concentrata sul suo obiettivo: portare a scuola quel CD musicale. Senza pensare a nient'altro.
E questo mi fa capire finalmente che cosa significa quell'imperativo che fin dal primo incontro con la psicologa di classe, che ipotizzò il mutismo selettivo in Matilde, risuona dentro di me: abbassare il livello d'ansia
Mi chiedevo: ma come si farà, ad abbassare 'sto livello d'ansia? Che devo fare? 
Ed ecco la risposta: vivere. 
Anzi, vivere le emozioni
Sentirle, suscitarle, condividerle.
Le emozioni sono un veicolo di comunicazione. Di relazione.
Ed ecco l'altra cosa importante che ho imparato, in questo cammino che in un certo senso ringrazio per avere la possibilità di percorrere. Sì perché, per quanta fatica si viva  - fatica emotiva - e per quanta pazienza ci occorra, non avrei avuto altrimenti occasione di interrogarmi così a fondo, conoscere persone profonde e guardare oltre, scambiare con altri e trovare parti di sé stessi, imparare nuove cose e fare tesoro di nuove lezioni.
L'ho capito dopo l'osservazione a casa, da parte della psicologa che ci sta seguendo da pochi mesi. 
Per Matilde, quel giorno sarebbe venuta a trovarci una maestra di un altro paese, che avevamo conosciuto io e papà in una determinata situazione, e che sarebbe passata per un saluto e un caffè. Durante quell'ora di visita, Matilde si è comportata in modo naturale e disinvolto. Nei limiti del suo silenzio, ovviamente - ma nemmeno un silenzio totale, perché le sue risate si sentivano eccome - l'atmosfera è stata da subito molto serena e amichevole. Familiare
C'era una persona estranea, mai vista, in casa nostra, ma lei non ha avuto il minimo problema a far vedere la sua cameretta, a mostrare i suoi giochi preferiti - quando invece, mi raccontava la dottoressa, alcuni bambini presso i quali è andata in visita non permettevano minimamente di avvicinarsi alle proprie cose. Matilde era contenta di condividere. Interagiva, anche. Indicando le cose, ridendo alle battute, alle "strapazzate" del papà, alle facce buffe della sorellina. 
In questo clima disteso e colloquiale, Matilde aveva voglia di relazionarsi. Era evidente. Come coi parenti, il suo comportamento non è quello di chi si sottrae allo scambio, anzi. La psicologa era a livello dei parenti.
E osservando io l'approccio di questa "maestra" inventata, di questa giovane mamma - perché la dottoressa ha circa la mia età e un figlio più di me - e confrontandomi, in separata sede, con lei, mi rendo conto di una cosa importante. Ne prendo consapevolezza.
L'obiettivo - mi viene da realizzare - non è quello di parlare, o di farla parlare, ma quello di capirsi, di comprendersi
Se il canale verbale è temporaneamente bloccato, in attesa che trovi le sue occasioni di sblocco, esistono mille altri modi per intendersi. 
E tanto basta, per il momento.
Solo con chi rispetta i suoi tempi, con chi ha la pazienza di conoscerla, senza aspettarsi nulla, ma soltanto con la voglia di scambiare emozioni con lei, Matilde saprà essere la bambina spensierata che è. 
Con chi si mette al suo livello, con chi si sintonizza sulla sua modalità interiore, lei avrà possibilità di lasciarsi andare.