lunedì 3 aprile 2017

La zona di comfort

Matilde farà sempre più fatica.
Non fatica a parlare, a tirare fuori la voce in presenza di altri. 
Ma a trattenersi dal non farlo.
Ha talmente tanta voglia di comunicare, con le amiche, coi compagni, con la maestra, col cuginetto, con chi la coinvolge, che prima o poi le sfuggirà qualche parola.
Lascerà il controllo.
Uscirà dal silenzio.
Un silenzio pressoché incomprensibile, che a tratti mi appare come una scelta, una presa di posizione. Anche se so che il mutismo selettivo non ha a che fare con qualcosa di intenzionale, oppositivo o manipolatorio.
A proposito del cuginetto, col quale ha smesso di parlare da un giorno all'altro (e anche qui: perché prima sì e poi no? cosa fa scattare il meccanismo?), una volta proposi a Matilde di domandargli una cosa banale su uno dei suoi giocattoli, e lei, con naturalezza e quasi una nota di ovvietà, mi rispose: "Ma io non parlo con Andrea". 
Come se avesse detto: ma io non ho i capelli biondi. 
Un dato di fatto. Un dato oggettivo.
Mi spiazzò. Ci pensai molto, su questa sua affermazione.
Lì per lì cercai di approfondire, per tastare il terreno, con cautela. Ma poco dopo, alle mie domande si stancò presto, voltandosi infastidita. Cambiai allora discorso.
Non so fino a che punto sia lei a decidere. 
Non so quanto ci sia di volontà e quanto di risposta istintiva al contesto.
Certamente, un meccanismo di difesa, di protezione, si attiva.
Con la nostra psicologa, durante lo scorso incontro, abbiamo parlato di questa sua tendenza a voler restare nella zona di comfort
L'esempio più evidente si manifesta nelle sue abitudini alimentari. Matilde ha ridotto progressivamente i cibi preferiti, fino a selezionare sei o sette piatti che fanno parte del suo menu. Sempre e solo quelli. 
A scuola, poi, la restrizione alimentare tocca il suo apice: ogni giorno dobbiamo prenotarle un pasto in bianco. Se quel giorno ci dimentichiamo, e le arriva sulla tavola un piatto di lasagne, o un risotto alla zucca, o anche una minestra di legumi (suo piatto preferito in assoluto, che a casa spazzola via di gran gusto) che però non è come vuole lei (leggi: presenza disturbante di pezzetti di carotina) è fatta: si mette a piangere. 
E questo, ci spiegava la psicologa, ha strettamente a che fare col discorso della difesa, della zona di comfort, della prudenza. Del proteggersi evitando di esporsi, evitando di provare, evitando di rischiare. 
Rischio e controllo.
Esplorazione e protezione.
Prudenza e coraggio.
E' su questo, che occorre lavorare. Insieme.
Sperimentare. Senza paura. Far capire che, se si esce dai binari conosciuti, non è vero che potrebbe succedere qualcosa di spaventoso, anzi: si possono scoprire nuove cose. Nuovi sapori, nuove esperienze, nuove capacità. Cose belle. Cose che ti arricchiscono.
E questo aspetto fa riflettere anche me. Su di me.
Io sono così: tendo a voler tenere tutto sotto controllo, ad andare in crisi quando le cose non vanno nel verso desiderato. Quando le cose sfuggono alla mia previsione.
Che sciocca! Lo so benissimo che le cose seguono il loro corso, e non il mio. Eppure mi comporto così. 
La psicologa l'ha capito benissimo, conoscendomi in quelle poche manciate di minuti al mese, e senza che glielo dicessi io esplicitamente. Nell'ultimo incontro ci fu un mio piccolo sfogo, a proposito di un episodio che mi ha ferita, per via di una frase pronunciata nei confronti di Matilde da parte di suo padre, suonata alle mie orecchie come infelice, quando in realtà non lo era. La frase, adesso decontestualizzata, era questa: "Se a scuola non parli, nessuno ti capirà".
Raccontai della frase, e del contesto, alla dottoressa.
"Io ci sono rimasta male" - le dissi. "Mi sono voltata verso il mio compagno e l'ho fulminato con lo sguardo. Perché mi sono sentita delusa: era come se non avesse più considerato tutto il percorso che avevamo fatto fin lì, e che stiamo facendo. Tutte le accortezze, i suggerimenti, i consigli su cosa fare, cosa non fare, cosa dire e non dire. Insomma, sarà anche perché quella sera ero un po' giù, un po' preoccupata, fatto sta che mi sono scese le lacrime".
"Ma guardi che la frase non è negativa, anzi!"
"Sì, ma magari sarebbe stato meglio volgerla in positivo, ad esempio: Vedrai che quando a scuola parlerai, tutti ti capiranno".
"Certo, quello sicuramente. Ma va anche bene farle notare la conseguenza dei suoi comportamenti. Come ad esempio nelle abitudini alimentari. Quando le proponete un cibo che lei rifiuta di assaggiare, potete dirle: che peccato che non lo vuoi assaggiare, non sai cosa ti perdi, se non lo assaggi non potrai scoprire se ti piace".
"Sì, alla fine mi sono resa conto che ho avuto una reazione esagerata, e che non aveva sbagliato il mio compagno. Mi sono sfogata anche sul gruppo dei referenti dell'Associazione di cui faccio parte, e i messaggi che mi hanno scritto sono stati tutti del tipo: forza e coraggio, essere genitori significa fare qualcosa di giusto in mezzo ad un mare di errori, oppure parlatene tra voi con calma, a mente fredda, e comunque quella frase non ha nulla di sbagliato, alla fine le ha detto la verità e a volte fa anche bene mettersi davanti alla realtà, o ancora tranquilla, può succedere che a volte si dicano frasi infelici, e la prossima volta potrebbe capitare anche a te..."
Qui la psicologa mi interrompe.
"No. A lei non potrebbe mai capitare. Assolutamente".
La guardo perplessa, poi confermo. Lo ammetto
"Sì, in effetti. Non è che mi ritenga infallibile, ma sono troppo attenta a tenere tutto sotto controllo..."
"Ma guardi che Matilde crescerà, e crescendo verrà a trovarsi in mille situazioni, dove incontrerà mille persone, che le faranno ogni tipo di osservazione. E lei non potrà intervenire su tutto, controllare ogni cosa e ogni parola. Ma questo ben venga!"
E' vero. Mi arrendo all'evidenza. E' proprio così, e non ci potrò fare nulla.
E poi ne prendo atto. Sono come lei. 
O meglio, Matilde è come me, in questo. 
Del resto, come si dice? La mela non cade lontana dall'albero.
Queste sedute fanno bene anche a me. Anzi, soprattutto a me. Riflettere, cambiare prospettiva sulle cose, mettersi nei panni di altri, provare a capire come ci si sente e a sentire come altri si sentono.
Mica semplice. 
Ma importantissimo.

P.S. Il blog si prende un periodo di pausa, a causa di impegni lavorativi della scrivente. Ma non abbandono qui. Altre cose sono già in attesa di vivere su queste pagine... 








Nessun commento:

Posta un commento