lunedì 3 luglio 2017

Rispettare il silenzio

Il silenzio spiazza. 
Il silenzio mette a disagio.
Il silenzio fa paura. 
Perché fa cadere nel vuoto le parole. Ti fa affacciare al bordo di uno spazio diverso. 
Ma non necessariamente fatto di assenza. Uno spazio che è altro, un universo che ha le sue regole, la sua pienezza. Un mondo da scoprire. 
La vertigine spaventa. Ma solo superandola puoi vedere oltre. Puoi sentire oltre. 
Perché il silenzio ha la sua voce. Il silenzio parla.

Sta per finire la scuola, ma non solo: sta per finire un ciclo, quello della scuola materna.
Matilde continua ad essere la bambina dolce, serena e giocosa di sempre. 
Alla festa di fine anno ha partecipato coi suoi compagni alle coreografie preparate dalle maestre, sempre precisa e impeccabile. E anche molto disinvolta. Quando si tratta di muoversi con il corpo lei è sempre in prima linea. Le piace molto.
La nostra psicologa ci ha infatti consigliato di continuare a proporle attività che la coinvolgano sul piano corporeo, che le possano dare possibilità di espressione senza dover utilizzare per forza il canale verbale per comunicare.
Alla festa di fine anno è successa anche un'altra cosa: abbiamo fatto una sorpresa per le maestre, che è stata una sorpresa per tutti. Da un suggerimento azzeccatissimo della nostra psicologa, ho proposto alle mamme di realizzare, come regalo di fine anno alle maestre, un videomessaggio collettivo di tutti i bambini della classe coi loro saluti alle insegnanti. L'idea ha avuto successo: ogni genitore ci ha inviato il filmato fatto al proprio figlio e, dopo averli raccolti tutti, il mio compagno ne ha fatto un ottimo video editing, aggiungendo musiche di sottofondo e bellissimi effetti grafici. 
Potrebbe essere un modo - ci diceva la nostra terapeuta - di far entrare la voce di Matilde nell'ambiente scolastico, mediata in questo caso da un video, in un contesto però in cui non sia lei l'unica ad esporsi, sottolineando così nuovamente la sua "diversità", ma che sia invece sullo stesso piano di tutti gli altri bambini, in una situazione in cui a tutti è richiesto di fare la stessa cosa.
Il nostro grande papà però ha una marcia in più: ha avuto una magnifica trovata. Io avevo preparato un semplice testo introduttivo, che avevamo inizialmente fatto scorrere sullo schermo, accompagnato da uno sfondo musicale. Invece lui ha pensato: proviamo a farlo recitare a Matilde! Quel giorno mia figlia era particolarmente disponibile a collaborare, il mio compagno le ha proposto la cosa, e lei ha accettato volentieri di ripetere e farsi registrare. E' bastato poi qualche ritocco nel montaggio et voilà: la voce di Matilde fuoricampo che "legge" il testo, mentre scorrono le parole sullo schermo.
E così, quella sera, dopo tutte le esibizioni e la cerimonia della consegna delle pergamene ai bambini dell'ultimo anno, ci siamo raccolti tutti nel grande atrio, davanti alla lavagna multimediale, per annunciare la sorpresa. L'incredulità e la meraviglia che spunta nei visi quando inizia il video con una vocina delicata e misteriosa che recita: "Care maestre, un altro anno è trascorso e siamo cresciuti tanto, anche grazie a voi. Abbiamo vissuto insieme condividendo risate e fatiche, con la gioia d'imparare gli uni dagli altri...". Un brusio di sottofondo che domanda di chi sia quella voce. Che emozione negli occhi delle maestre! E soprattutto lo stupore negli altri compagni. 
Erano tutti radunati a terra, seduti vicini. Matilde era tranquilla e felice di stare in mezzo a loro; ha soltanto abbassato la testa per l'imbarazzo di vedersi durante i suoi dieci secondi di video. 
Credo che questa cosa abbia fatto bene a lei, ma di più ai suoi compagni. Perché - confrontandomi anche con la psicologa - per lei ha potuto rappresentare una sorta di "rivincita", qualcosa di cui esserne orgogliosa. Gli altri bambini, invece, hanno potuto avere una dimostrazione diretta, una risposta immediata alle loro domande. Hanno potuto conoscere - seppure per un attimo - la Matilde che conosciamo solo noi sei, due genitori e quattro nonni.
Emma, una delle sue compagne, durante la cena di classe, mentre eravamo tutti nel cortile del locale in attesa della pizza, mi fa, riferendosi a Matilde: "Lo sai che qualche volta ci parla nelle orecchie? E che una volta ha pianto perché le mancava la forchetta per mangiare!" Scoprire qualche retroscena della vita scolastica è davvero qualcosa di prezioso: conoscere le dinamiche che si instaurano in classe mi fa capire meglio com'è mia figlia.
E poi c'è da dire che i bambini, in generale, sono molto più semplici, autentici e spontanei. Hanno un'altra visione delle cose: ai loro occhi, una difficoltà che a noi sembra insormontabile, semplicemente non esiste, perché trovano altre risorse per gestirla e superarla. 
Non diventa un problema, ecco. 
Sanno stare con le diversità, in modo molto naturale.
Invece gli adulti trovano sempre l'occasione per sottolineare, far notare, ricalcare le differenze. E così mi sento infastidita ancora una volta dal commento di una mamma, non una qualunque o una estranea, ma una alla quale avevo avuto modo di spiegare nel dettaglio tutto il nostro percorso. Capisco che i commenti vengono fatti con assoluta buonafede, ci mancherebbe, ma mi chiedo cosa possano aggiungere, cosa possano significare... Sono semplici battute, certo, che però io non riesco ancora a ignorare. 
"Matildeee! Matildeee! Ma lo sai che io ho sentito la tua voce?!"

Per quanto uno lo provi a spiegare, lo provi a capire, lo provi a studiare, ne abbia conoscenza e competenza, non riuscirà mai a sentirlo, a provare come ci si senta. 
Il mutismo selettivo è un'esperienza
Un'esperienza personale
Questa affermazione mi ha colpito in modo particolare, ancora di più perché l'ha detta una ragazza speciale, che è anche la referente regionale dell'Umbria della nostra associazione A.I.Mu.Se. Ed è una ex-muta selettiva, che ha superato nel corso della sua adolescenza questa difficoltà.
Durante la riunione di noi referenti, che si è tenuta a Bologna a fine aprile, a seguito del convegno nazionale dell'Associazione, si parlava di come ci sia a volte, nei ragazzi più grandi, una consapevolezza diversa e a volte un vero e proprio rifiuto dell'aiuto terapeutico. E in un certo senso è comprensibile. 
Entrare "a gamba tesa" in questo aspetto è una forzatura non priva di conseguenze. Si tratta comunque di una fase del vissuto di quella persona. 
Che non va sottovalutata, ma nemmeno rimossa. 
Occorre rispettarla
Ed è anche per questo che sono contenta dell'approccio terapeutico che abbiamo intrapreso, perché tiene proprio conto di questa visione, che io, personalmente, condivido.










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