lunedì 14 novembre 2016

Dalla sua parte

Il giorno in cui Matilde parlerà agli altri - perché succederà, questo lo diamo per scontato - sarà su tutti i giornali, su tutte le televisioni e gli schermi del mondo. 
L'evento sarà clamoroso. Farà un gran scalpore.
Tutti i riflettori saranno puntati su di lei. 
La folla esultante che l'acclama e l'applaude.
Sorpresa. Meraviglia.
Il miracolo
Alleluja.
Sì, lo so. Sto esasperando.
Ma esagero apposta, perché è così che Matilde la potrebbe vivere.
Potrebbe immaginarsi che le sue parole possano provocare una reazione del genere negli altri. 
Gli altri che attendono con tanta impazienza di sentirla.
Gli altri che si ingegnano per trovare un qualche modo di farla parlare. 
Gli altri che si sentono delusi, frustrati, perché i loro sforzi non servono. 
Perché non vedono risultati.
Perché Matilde non parla.
E questa rischia di diventare la sua connotazione principale, la sua unica etichetta. Una coperta rassicurante, certo, che ti identifica, che non ti fa essere anonima. Ma anche una trappola, da cui è difficile liberarsi. 
No, non deve essere così.
Matilde non è "la bambina che non parla".
Matilde è la bambina a cui piace ballare, che ha imparato la musica, che è brava a scuola, che fa bellissimi disegni, a cui piacciono gli animali, le costruzioni e i libri. Questa è lei. Poi, che non parli in certi contesti e con alcune persone, non è uno svantaggio, non dipende da quelle persone. E quelle con cui invece parla non sono privilegiate, non hanno particolari meriti rispetto alle altre.
Certo, quando Matilde dirà le sue parole agli altri, o le dirà anche in presenza di altri, non ne rimarrà impressionato il mondo intero. Ma tutto il suo piccolo mondo relazionale, sì. La sua famiglia, i suoi compagni di scuola, la maestra. 
Sarà inevitabilmente al centro dell'attenzione, che è paradossalmente proprio quello che un bambino muto selettivo vorrebbe evitare.
Lo dimostra anche il fatto che non vuole essere guardata, quando ad esempio mi parla in presenza di altri. Mi viene infatti vicino e si scherma coi miei capelli. Qui avevo raccontato di un episodio successo qualche tempo fa, di quando in una nostra conversazione si lasciò sfuggire una parola in presenza della zia, accorgendosi troppo tardi di quella sua "disattenzione" - e ben vengano queste disattenzioni! In quel caso, però, lode alla zia che rimase imperturbabile e in una posizione neutra di ascolto, senza avere alcuna reazione di meraviglia. Come se fosse - appunto - la cosa più naturale del mondo.

Questi spunti di riflessione "a caldo" vengono dal primo colloquio di oggi con la psicologa prescelta, a conclusione del tour tra gli specialisti della zona per individuare un professionista a cui affidarci. 
E così iniziamo un percorso.
La psicologa ci propone di mandare avanti noi genitori, innanzitutto. Cominciamo a usare noi qualche strategia. Noi che conosciamo più di chiunque altro nostra figlia, noi che siamo le sue prime figure di riferimento. 
"Lasciate perdere per adesso la questione della voce. Lasciate perdere questo fatto che lei non parla. Perché davvero può diventare la sua etichetta. Lei non è solo così. Quindi distogliete l'attenzione da questa cosa. Certo, il consiglio di fornirle occasioni per poter parlare va bene, ad esempio, quando invitate a casa un'amichetta, potete chiedere a Matilde: vai a chiamare la tua amica che facciamo merenda! Basta che le venga lasciata la possibilità di scegliere la modalità di comunicazione che vuole. Se chiamarla con un cenno, oppure usare le parole. L'importante è che sia libera di scegliere. Ma non insistete, non forzatela, non mettetela all'angolo."
"Voi siete dalla sua parte. Punto. Potete aiutarla, certo, siete lì per questo, ma voi siete dalla sua parte. Perché le volete bene, perché amate Matilde così com'è. Questo dev'essere ben chiaro. Anche perché se lei si accorge che state facendo qualche trucco, se percepisce che c'è dietro qualche strategia, allora sì che si rischia di perdere la sua fiducia. Ricordatevi che lei avverte le vostre sensazioni, sa leggervi attraverso. Voi siete nudi davanti a lei."
"Come reagisce lei nei confronti della rabbia? Cosa fa quando si sente arrabbiata? Non solo quando le succede qualcosa, ma anche quando ad esempio a scuola vede un'ingiustizia, oppure vive le dinamiche coi compagni. Perché dev'essere molto frustrante per lei non riuscire a esprimere questi stati d'animo, queste sensazioni. Sarà interessante lavorare anche su questo aspetto, sul modo in cui elabora e gestisce le sue emozioni."
Ci ha dato un libro, una breve storia illustrata per bambini. 
Per iniziare, attraverso il racconto, a far emergere le sue sensazioni quando avverte un'emozione particolare, quando in alcune circostanze si mette a piangere - come la volta in cui una bambina non la lasciava passare sulla scaletta dello scivolo. Oppure per capire come Matilde pensa che lei si potrà sentire quando parlerà - perché un giorno lo farà, è scontato.
Oltre alla favola, ci ha dato anche una guida alla lettura, che la accompagna. La guida contiene diversi spunti, per aiutare il bambino a esprimere le proprie emozioni interiori, spesso trattenute. Ci sono illustrazioni e immagini, corrispondenti a situazioni o cose negative - un temporale, un mostriciattolo, un terremoto - che il bambino può indicare per riferirsi al suo stato d'animo. Poi, compito del genitore o del terapeuta è quello di ridimensionare la cosa indicata e trasformarla in un'immagine positiva - le nuvole non sono temporalesche ma soffici e bianche, non era un mostro cattivo ma un bel gattino, non era la terra che trema ma il dondolio dell'altalena.
E così leggeremo la storia di Scricciolo Nonimporta, e del suo amico Ciccio Potevandarepeggio.
E peggio non andrà!




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