martedì 10 gennaio 2017

Chissà se va? Ma sì che va

Neanche me ne sono accorta.
Vedi? E' proprio così.
Succede quando il livello di attenzione rivolto su di lei, si abbassa.
Quando non le si richiede una performance vocale in maniera singola e individuale, ma quando invece si partecipa assieme ad un gioco. 
Quando non sei solo tu a farlo, ma siamo coinvolti tutti
Le ansie da prestazione, allora, spariscono. E le parole, fluiscono. 

Vacanze natalizie trascorse a casa dai nonni. Visite giornaliere di parenti vari, coi quali Matilde interagisce da sempre senza pronunciare parole. Coi nonni sì, invece. Tutti i nonni. Oltre a noi genitori. 
Siamo tutti in cucina, tranne mia zia Patrizia, che è nella stanza accanto insieme alla sorellina baby. Matilde le raggiunge di là. Io resto in cucina, distratta da un'altra conversazione. La sento ridere e scherzare. Ma me ne accorgo soltanto quando vado a vedere cosa succede.
"Gnugno, Gnue, Gne, Gnaggno, Gnignue, Gnei..."
Matilde parla. Sta dicendo delle parole.
O meglio: sta contando da uno a venti. In una lingua strana, devo dire: il gneggnese.
Anzi, contano in modo alternato, lei e mia zia. Giocano a chi sa dire il numero successivo senza sbagliare. 
Le sorrido, mi metto a giocare con loro, faccio giocare la sorellina con la torcia, cose normali. Ma dentro di me gioisco: evviva, un gran bel passo avanti!
La cosa si ripete anche nei giorni seguenti, in altre occasioni, in altre case, con altri parenti. 
Sono convinta che gradualmente la sua sensazione di agitazione nel provare a parlare davanti agli altri scemerà. Piccoli passi, appunto. Tempo al tempo. 
Ma, nel frattempo, è fondamentale che le persone intorno a lei dimostrino di non essere preoccupate, o impazienti, o insistenti. Di non trasmetterle l'idea che "lei è la bambina che non parla". Perché sappiamo che è una condizione transitoria
Stiamo transitando attraverso il mutismo selettivo.

Ed è proprio questo, il punto. 
Mi sono accorta che averne parlato, o meglio scritto, in questo blog, potrebbe aver aumentato la preoccupazione di alcuni nostri cari: ma è una malattia? Guarirà? Oddio, non sa parlare? E' muta? Oppure può essere che siano ancora convinti che il mutismo - selettivo eh, perché lei parla eccome! - sia una sua scelta, che lei decida volontariamente con chi parlare e con chi no, quando farlo e quando no. 
E qui si apre l'aspetto cruciale della questione: noi conosciamo una Matilde che non è la Matilde che conoscono gli altri. Noi la vediamo una bambina assolutamente normale e spensierata. Gli altri vedono una bambina ammutolita: forse timida? Forse intimorita? Forse inibita? Forse maleducata? Forse ritardata? Forse oppositiva? No. Agitata
Agitata per quella performance linguistica a cui accennavo. Ma per il resto lei è tranquilla
Due versioni della stessa bambina, dunque. 
Ma d'altra parte, anch'io ho due versioni di me stessa, se non di più. E certamente molti altri di noi le avranno. A casa conoscono la vera Chiara, con pregi e difetti spudoratamente manifestati. Mentre fuori, dipende. Dipende dalle persone con cui sono. Con la mia più cara amica, sono me stessa anche nei miei angoli più nascosti. In situazioni informali e amichevoli, sono una Chiara pacata ma conviviale. In altre situazioni meno familiari, sono diversa ancora. Più riservata e misteriosa. Mi faccio quasi affatto conoscere.
Questo per dire che non è assolutamente strano che si conoscano aspetti diversi in contesti diversi, parlando di elementi del carattere di una stessa persona. E' appena uscito un libro sul mutismo selettivo che si intitola proprio così: "Senza parole. Bambini diversi in contesti diversi" (ho volutamente tolto il link, perché purtroppo non tutti i testi sul tema sono raccomandabili, e non meritano di essere più di tanto approfonditi). Ma, a mio avviso, si sarebbe dovuto piuttosto chiamare: bambini con modalità relazionali diverse in contesti diversi. Perché la chiave è proprio relazionale.

Ad ogni modo, le sedute con la psicologa riprenderanno regolarmente dopo la pausa natalizia. A breve incontrerà anche le maestre di Matilde.
Nei nostri incontri precedenti, la psicologa ci aveva suggerito degli esercizi respiratori da fare insieme a nostra figlia. Inspirare col naso, espirare con la bocca. Mettere una mano sulla pancia per sentire un ipotetico palloncino che si gonfia con l'aria che inspiriamo. E poi si sgonfia quando buttiamo fuori l'aria. Fare delle smorfie col viso, muovere tutti i muscoli della faccia. Quelli che, per sei o sette ore a scuola, non utilizza mai. 
Cominciare ad allenare il suo apparato fonatorio proprio con una serie di esercizi fisici. 
Così come, in piedi una di fronte all'altra, inspirare e poi, durante l'espirazione, emettere i suoni delle vocali, una per volta. Per iniziare a familiarizzare con l'emissione di suoni. E sentire quale parte del corpo vibra di più. Giocare a indovinare quale punto della gola o del petto vibrerà con la lettera A. Oppure con la E. O con la O. E così via.
Le abbiamo anche mostrato un paio di disegni recenti di Matilde. Nel primo, in particolare, aveva colorato l'intero cielo di blu e nel bordo inferiore una striscia marrone di terra; aveva disegnato al centro del foglio un tronco altissimo, che in realtà era un fiore cresciuto a dismisura; nell'angolo a sinistra una bambina tratteggiata con il colore nero, e a destra due fiori piccoli, colorati, normali. Avevo chiesto a Matilde quale fosse lei. Immaginavo mi rispondesse la bambina, invece lei indicò come sé stessa il secondo dei fiorellini sulla destra. 
La psicologa, dopo aver commentato con apprezzamento e stupore le capacità grafiche e artistiche di Matilde, ci ha spiegato che tutti gli elementi del disegno rappresentano parti di lei stessa. Ci ha suggerito di provare a far dialogare gli elementi tra loro, chiedendo a Matilde cosa potrebbe dire la bambina al fiore, o il fiore cresciuto al fiore piccolo, o alla figura della bimba. 
Visto che è poi una bambina molto precisa e auto-disciplinata, la dottoressa ci ha chiesto di provare a interromperla in una attività di disegno, proprio nel momento in cui la vediamo più concentrata. Con una scusa qualsiasi: per favore, vieni ad aiutarmi a preparare la tavola. Per vedere come reagisce. 
Com'è andata? La prima volta non ne ha voluto sapere. Mi ha girato le spalle, infastidita, e ha continuato a colorare. La seconda volta, invece, mi ha seguita ed è venuta con me a stendere la sua biancheria. Subito dopo, però, è corsa via, a terminare il disegno.

I pensieri, le emozioni, non sono soltanto quelle dette... ma anche quelle scritte... o disegnate...







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