giovedì 20 ottobre 2016

I piedi in acqua

Gradualità.
Avvicinarsi all'acqua. Sentire con l'alluce. 
Mettere un piede dentro. Poi anche l'altro.
Scendere al ginocchio. E avanti così, fino a provare a galleggiare.
Le paure, per superarle, bisogna affrontarle.
Piano piano.
Poco poco.
Se hai paura dell'acqua, cominci a prendere confidenza. Magari giocando un po', magari scivolando anche, magari divertendosi a schizzare l'acqua.
E solo dopo, quando ti sentirai pronto, ti tufferai.
Se hai paura di parlare, comincerai a fare piccoli passi, per imparare a superarla. 
Ho pure intitolato così questo blog! 
Il concetto chiave è proprio quello.
Andare per gradi.
Se Matilde adesso mi sussurra nell'orecchio, quando vuole comunicare con me in presenza di altri con i quali si sente a disagio, posso provare ad aumentare la distanza tra la sua bocca e il mio orecchio. Magari con una scusa: la mamma non riesce a chinarsi, oggi, ha mal di schiena. Oppure: sto finendo di pulire i piatti, adesso, dimmelo pure lo stesso. 
Posso anche provare a darle un piccolo input, per spronarla a far uscire le parole. Ad esempio, quando una delle sue amichette è ospite da noi, chiederle molto naturalmente: Matilde, chiama la tua amica che adesso vi faccio la merenda!
Ecco, di questo sento di avere più bisogno ora. 
Consigli, strategie, escamotage, trucchi. 
Chiamali come vuoi. 
Voglio un libretto di istruzioni.
In questi giorni sto - stiamo, io e il mio compagno - facendo un vero e proprio tour, tra gli specialisti della zona, per cercare quello a cui poterci affidare. La neuropsichiatria infantile, infatti, ti dà una diagnosi, ma non fa terapia. Non prende in carico. 
E così, a colloquio ormai con diversi professionisti, capisci molte cose. 
Capisci innanzitutto che ognuno ha il suo metodo, per cui il vecchio detto di "sentire prima più campane" è in questo caso molto conveniente. 
C'è quello che propone un lavoro intensivo in studio, solo con la bambina, per otto sedute a cadenza settimanale; chi preferisce iniziare gli incontri soltanto coi genitori, per studiare insieme quel programma di strategie da attuare; chi lavora su più fronti, coinvolgendo, oltre al bambino e ai genitori, anche gli insegnanti; chi, infine, ritiene di poter aspettare, nei casi meno gravi, prima di intervenire con una terapia diretta, e intanto provare a offrire quelle occasioni di stimolo per conoscere ciò che mette ansia e timore, e normalizzare la sensazione (della serie: guarda, succede a tanti, è normale, capita anche a me di sentirmi così).
E poi ti confermano una cosa che sai già, ovvero che il lavoro grosso, la terapia più importante e preziosa, è quella quotidiana che svolgono i genitori e le insegnanti nei confronti del bambino. Come dicevo, occorre agire sul contesto, sul contorno. La risposta ai propri comportamenti viene dagli altri, dall'esterno con cui ti relazioni. Stimolo, azione e reazione. 
Se lanci un sasso nell'acqua, le onde si increspano, si crea movimento. Cambiamento.
Se smetti di lanciare sassi, si fa calma piatta. Tutto resta immobile.
Mi rendo conto che a forza di assorbire il consiglio del "non insistere nel chiederle di parlare", ho cominciato a lasciar passare, a smettere di spronarla. Se prima Matilde salutava almeno con un cenno della mano, adesso saluto solo io, e lei mi segue tenendo gli occhi bassi, come niente fosse. 
Ma non va bene. Sono scivolata nell'altro estremo. Ho mollato troppo la corda. Il messaggio implicito che in questo modo lascio intendere è: va bene così, non importa che parli, tanto o lo fa la mamma per te, o non ti è più richiesto. A scuola, lei si accorge di avere comunque le attenzioni delle amiche e delle maestre e quindi: perché cambiare? Si rinforza un meccanismo di evitamento della parola. 
E' difficile però trovare la quadra, il giusto equilibrio, nell' incoraggiare senza pressare.
Eppure, è la cosa più sensata da fare: perché la voce la sai usare, non c'è nulla da temere, parlare è normale.
Devo insomma essere un po' psicologa io stessa. Scoprire insieme cosa fa spaventare Matilde, cosa la mette in agitazione: se è la paura di non essere udita, o quella di sbagliare, oppure quella di ricevere risposte negative o spiacevoli. 
E rendere queste paure normali, scioglierle. 
Non c'è nulla di male a sentirsi agitati o spaventati. 
Non sei diversa dagli altri, hai solo bisogno di più tempo per sentirti tranquilla.
Prova, fai un tentativo. Sbaglia, riprova. Io sono accanto a te per aiutarti a rialzati. 
Vai con le tue gambe, con le tue capacità, con la tua voglia di comunicare.
Ce la farai.
Se non oggi, domani brillerai. 
Piccoli passi.
Uno.
Due. 
Tre.




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